Un mal inteso senso della laicità

La decisione del preside dell’Istituto Garofani di Rozzano (Mi) di vietare la festa di Natale la dice lunga sulla cultura giuridica di chi sovrintende alla funzione educativa. Soprattutto evidenzia che un dirigente scolastico della Repubblica non ha ben chiaro quale sia il perimetro e la missione delle sue attribuzioni.

Chi può negare che il Natale ha ormai assunto nell’Occidente, allo stesso tempo, la veste di un evento religioso e laico. Per i credenti è la celebrazione di un evento divino. Per i laici la testimonianza di un messaggio di pacificazione. Per le istituzioni statali una delle più significative feste nazionali.

Il preside di Rozzano si giustifica dicendo che ha agito “per rispettare la sensibilità di chi la pensa diversamente, ha altre culture o religioni”. E poi, ha aggiunto: “Questa è una scuola multietnica. Dopo quello che è successo a Parigi qualcuno l’avrebbe considerata una provocazione anche pericolosa”.

Laicità, diversità sono i valori propri dell’Occidente. Non siamo disposti a menomarli. Tuttavia, c’è anche un altro valore che merita rispetto. Si tratta dei segni distintivi della tradizione. La laicità è la bandiera con cui riscattare i regimi teocratici, com’è stato per la Turchia di Mustafa Kemal Atatürk. Ma, per gli ordinamenti liberali maturi, l’applicazione della regola della laicità, intesa in senso assoluto, dove tutte le diversità “sono tutte uguali” per definizione, rischia di svilire le ragioni più intime della comunità nazionale, disperdendo il senso stesso della convivenza.

Da noi la società del mercato ha completato l’opera, con la frammentazione della solidarietà civica e “la trasformazione dei cittadini di società liberali prospere e pacifiche in monadi isolate, che agiscono nel proprio interesse e che non fanno che puntare l’una contro l’altra le armi dei loro diritti soggettivi” (Habermas). Così, il rischio della disintegrazione delle società liberali diventa ancora può attuale.

Böckenförde, davanti a questo panorama, sostiene che l’accettazione dell’esistenza dell’unico valore del pluralismo e della diversità, del secolarismo e delle libertà, quale carattere preminente della democrazia, senza alcun altro collante di tipo prepolitico, rischia di ridurre la democrazia a puro metodo, a un insieme di regole sulla semplice sopravvivenza di monadi individuali.

Il preside di Rozzano ha una visione totalizzante della laicità, che applica come un teorema assoluto. Non sa che una comunità nazionale non è in grado di sopravvivere a se stessa, semplicemente assemblando la somma di tutte le sue diversità. Anche il Preambolo del Trattato di Lisbona, che avrebbe dovuto disegnare la nuova Europa, dichiara di ispirarsi “alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto”.

Non è questa una formula inoffensiva, espressiva solo di buone intenzioni che non lasciano il segno. Infatti, sottintende un valore politico e storico preciso. Vuol dire che l’Europa è laica e cristiana allo stesso tempo, perché colloca la persona umana, con i suoi diritti e i suoi doveri nei confronti della comunità umana, prima delle teologie e delle ideologie. In questo senso i Trattati descrivano un’anima dell’Europa nitida.

Di questo il preside di Rozzano - e non è il solo - non s’è accorto. Eppure dovrebbe sapere, perché rientra tra i suoi doveri, che compito della Scuola non è soltanto stimolare la conoscenza, istillare la curiosità sulle cose del mondo, insegnare a studiare, ma anche quello di contribuire a fare dei giovani, veri e propri cittadini, persone mature e consapevoli di appartenere a un comunità che riconosce i diritti delle minoranze ma non rinuncia alla propria nazionalità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33