Stepchild adoption e diritti naturali

Il dibattito odierno sulle unioni civili, le unioni di fatto, la stepchild adoption, sta sollevando nel Paese un dibattito esteso, anche se non profondo, su problematiche che interessano una vasta platea di opinione pubblica. Per questo, chi ha la veste del legislatore, deve essere all’altezza del compito, studiando e documentandosi sulle decisioni che prende. Qui infatti non si sta discutendo di questioni ordinarie, come può essere il diritto all’assegno alimentare del figlio maggiorenne. Il ddl Cirinnà detta regole, durature e probabilmente non reversibili, sul futuro modello di convivenza della famiglia italiana.

Nel dibattito è molto diffuso il contrasto dialettico tra coloro che invocano l’immodificabilità del diritto naturale e coloro che, dall’altra parte, innalzano il vessillo dell’ampliamento dei diritti. Chi si oppone al riconoscimento delle unioni civili e delle unioni di fatto, si richiama spessissimo alla difesa dell’“istituzione matrimoniale”, come se, il fatto che il matrimonio abbia messo le vesti dell’“istituzione”, autorizzi il riconoscimento del suo carattere di immutabilità. Sul fronte opposto si ribatte che l’immutabilità dell'istituto matrimoniale non esiste, e che paesi e culture diverse hanno conosciuto e conoscono forme molto diverse di convivenza dei nuclei famigliari. Verissimo.

Per la difesa dell’unicità matrimoniale, l’appello alla tradizione, al carattere istituzionale, al diritto naturale, costituiscono ingredienti di peso per comporre un mosaico solido, imbastito, per rafforzare le ragioni dell’unicità dell’attuale disciplina matrimoniale. L’impostazione non è però condivisibile. Vi si oppone la stessa Costituzione che, se da un lato, riconosce la società naturale fondata sul matrimonio (art. 29), dall’altro, dà dignità di tutela anche alle altre “formazioni sociali”, dove si esprimono i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), che godono della stessa rilevanza costituzionale del matrimonio. L’indilazionabilità di una disciplina statale sulle unioni civili e di fatto è allora incontestabile. L’Italia ci deve arrivare, in autonomo ossequio alla propria Costituzione, ed a prescindere dalle sgangherate raccomandazioni del Consiglio d’Europa, che pontifica dal basso dei propri elementari principi, ispirati unicamente alla necessità della difesa della “libertà della vita privata e famigliare”.

Diverso è il discorso sulla stepchild adoption. Anche qui circolano messaggi ambigui. Si sente ripetere da parte dei suoi difensori che, così come per l’aborto si trattava di prendere atto di una prassi già abbondantemente in vigore, oggi si tratta, allo stesso modo, di assicurare un adeguato riconoscimento ai minori che già crescono in famiglie con genitori dello stesso sesso, ai quali non è riconosciuto alcun legame affettivo e familiare con uno di essi.

L’argomento è perverso. Con la pretesa di sanare una situazione di fatto costruita, spesso, su presupposti illeciti per la legge italiana (si parla di poche centinaia di casi), si vorrebbe introdurre una disposizione di principio, generale, idonea ad incentivare le pratiche di fecondazione medicalmente assistita di tipo monogenitoriale, ammesse all’estero ma da noi vietate. Così facendo si incentiverebbero le pratiche di surrogazione dell’utero delle donne gestanti, solitamente povere e del terzo mondo, salariate allo specifico scopo. Su questo punto, l’argomento della necessità di assecondare la tradizione, rispettare l’elemento oggettivo della doppia genitorialità, il diritto naturale di un bambino a rivendicare l’appartenenza a una famiglia eterosessuale, mi pare incontestabile.

È molto diffusa tra i filosofi del diritto l’idea che il “diritto naturale” sia tale solo se, e in quanto, entri a far parte di un ordinamento giuridico che lo trasforma in legge. Prima di questo momento, prima dell’intervento del legislatore - si afferma - il “diritto naturale” non è un diritto ed ha solo il valore di un principio etico.

Bene. Sarà anche vero che l’assolutezza e l’universalità di tanti diritti, che si vorrebbero “naturali”, in realtà non è tale e va progressivamente riducendo la propria sfera di espansione, con il progredire delle scienze che ne relativizzano la portata. Ma, questo non vale per i principi sulla genitorialità.

Chi può negare che un bambino nasce dalla sintesi di due gameti, di cui uno è maschio e l’altro è femmina? Chi può negare che ogni essere vivente, uomo o animale, nasce in natura dalla copula di un maschio e di una femmina? Chi può negare che un figlio, da che mondo e mondo, ha per natura, un padre e una madre. Chi può negare che l’esistenza di una coppia di genitori omosessuali configura un fenomeno inesistente in natura? Personalmente credo, e non sono il solo, che il “diritto” ad avere un figlio esista solo per la coppia eterosessuale.

È fondamentale riconoscere che la scienza sia libera, senza confini, non condizionata e non condizionabile. Mi pare però che quando si ha la responsabilità di condizionare la vita delle generazioni future, il legislatore abbia il dovere di riconoscere gli ammaestramenti evolutivi della storia e le regole immodificabili (queste sì) della natura, che non possono essere riviste nemmeno dai filosofi del diritto.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57