Ddl Cirinnà: il voto   segreto di Grasso

In occasione del primo voto del Senato sul ddl Cirinnà (unioni civili, unioni di fatto e adozione del figliastro), è andato in onda un confronto aspro tra il Presidente del Senato e alcuni esponenti dei gruppi di opposizione. Gli esponenti dei partiti di maggioranza, Partito Democratico in testa, sono stati a guardare. Non si è udita neanche la voce di Forza Italia e del Movimento Cinque Stelle.

Il presidente Grasso, in apertura di seduta, ha spiegato di non poter concedere la votazione a scrutinio segreto sulla proposta di non passaggio all'esame degli articoli, per il fatto che il tema in discussione: famiglie non fondate sul matrimonio, non rientrerebbe, a suo giudizio, tra le disposizioni costituzionali tassative (tra cui c’è il matrimonio e la filiazione), per le quali il voto segreto può essere concesso, ma sull’articolo 2 della Costituzione che tratta delle “formazioni sociali”, che non lo consentirebbe. Il confronto è stato talmente acido che il senatore Carlo Giovanardi, nell’accusare il presidente dell’assemblea di non imparzialità, è arrivato ad avanzare il dubbio sulla terzietà del senatore Grasso in questa vicenda come nell’esercizio della pregressa attività di magistrato. Un’accusa pesantissima, di rilievo penale fuori dall’aula parlamentare.

La questione merita qualche approfondimento, perché l’iter di approvazione del ddl è solo agli inizi e l’equivoco sull’utilizzabilità del voto segreto, sui vari articoli e sugli emendamenti, va chiarito subito, nelle forme più condivise. In caso contrario, la permanenza del dubbio può mettere a rischio la stessa legittimità costituzionale dell’intero ddl. Se ne deve essere accorto lo stesso capogruppo del Pd a Palazzo Madama Luigi Zanda che, immediatamente dopo il voto, ha chiesto la sospensione della seduta e la convocazione della Conferenza dei presidenti. Del resto, la consapevolezza che nel diritto la “forma è sostanza” non è una novità, se la Francia per esempio ha introdotto direttamente nella Costituzione una serie di regole, destinate a disciplinare minuziosamente lo svolgimento dei lavori parlamentari. Quale decisione abbia preso la Conferenza dei capigruppo non è noto. Tuttavia, vale la pena spendere qualche parola sul punto, per rendere partecipe della questione il maggior numero di lettori, anche se non addetti ai lavori. Apparentemente si tratta di questioni di poco significato, da azzeccagarbugli, lontane anni luce dai concreti interessi della gente, ma, in questo caso, come in tanti altri, possono produrre effetti perversi. Gli avvocati ne sanno qualcosa perché sanno che, per questioni di forma, possono arrivare ad aver ragione nelle cause perse, oppure possono perdere le cause vinte. La regola per l’espressione del voto non può che essere la trasparenza. Questa è la regola della democrazia parlamentare. Ma, se si discute di diritti civili o etico-sociali (Titoli I e II della Costituzione), i rappresentanti del popolo devono essere in condizione di potersi esprimere liberamente, secondo coscienza, anche in dissenso agli ordini di partito.

In base al ragionamento causidico del presidente Grasso le famiglie non fondate sul matrimonio trovano fondamento nell’articolo 2 della Costituzione, non nei titoli I e II, quindi devono essere trattate con votazione palese. A questa illogica asserzione il Pd non ha saputo rispondere che con il silenzio. Ma come, i gruppi parlamentari che rivendicano l’estensione dei “diritti” matrimoniali alle unioni civili, rinunciano alla loro ricomprensione nell’alveo dei diritti? Forse che si tratti di diritti civili di minor tutela, di second’ordine? È incoerente soltanto ipotizzarlo. I diritti civili sono quelli e basta.

E poi, seguendo il ragionamento del presidente Grasso, com’è possibile che i diritti riconosciuti nell’articolo 2 della Costituzione (cioè tra i princìpi fondamentali, non semplicemente tra i diritti civili e sociali), debbano avere una minor tutela rispetto ai diritti dei Titoli I e II della Costituzione? La logica del Regolamento del Senato è limpida. Il voto segreto previsto per i diritti di cui agli artt. 29, 30 e 31 della Costituzione va esteso anche alle unioni civili.

La votazione a scrutinio segreto non è mai consentita quando si vota sui disegni di legge a contenuto finanziario, appostazioni di bilancio, tributi o contributi, aumenti di spesa o diminuzioni di entrate. Qui il corpo elettorale deve essere in grado di scovare i comportamenti concreti di coloro che ha mandato a rappresentarli. Ma, quando si tratta di diritti individuali, a maggior ragione quando si tratta di princìpi fondamentali, è bene che i parlamentari rispondano dei propri atti esclusivamente alla propria coscienza, che viene prima, o dovrebbe venir prima, degli interessi di partito.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04