L’Antimafia invoca  nuove commesse

La crisi, la disoccupazione, la mancanza di lavoro sono tra le peggiori sciagure che possono colpire la società, i lavoratori e certe specifiche categorie. Ci deve essere aria di Cassa integrazione per uno dei più ambiti settori di lavoratori, che finora non avevano mai dovuto preoccuparsi per la loro sorte vicina e lontana. C’è l’ombra della chiusura, del venir meno dei posti di lavoro per i tanti super magistrati, super Pm, super presidenti, super Gip. Perché i magistrati “antimafia” per il fatto di essere tali, sono tutti “super”.

Ovvia, come direbbe Matteo Renzi, non c’è per loro il minimo pericolo di esser mandati a casa (anche quelli, ché ce ne sono, che almeno a casa dovrebbero essere spediti). Non dovranno andare a fare le fila all’ufficio di collocamento. Ma per la prima volta si può dire che proprio il successo della loro “impresa”, delle loro “lotte” che hanno imposto in luogo dei normali servizi di giustizia e, comunque, le trasformazioni della società, delle tecnologie, della stessa delinquenza, hanno fatto sì che, toccato il culmine del suo potere e del suo prestigio, l’Antimafia comincia a suscitare interrogativi sulla necessità della sua esistenza: cioè di quel “secondo canale” della giustizia in cui i princìpi propri del primo (e che tali dovrebbero essere) non contano. Quel che conta è il “successo”, la “sconfitta” del “nemico”, il danno inflitto ai suoi generali ed ai suoi gregari, il numero di essi “rimasti sul terreno”, cioè messi dietro le sbarre. Magari un po’ alla rinfusa, così da metter nel mucchio qualcuno che non c’entra (c’è sempre qualche vittima del “fuoco amico”, l’importante è che quelli messi in galera, espropriati, magari uccisi, siano “prevalentemente” appartenenti alla genia dei nemici).

Questo sistema non è davvero cambiato, né qualcuno se ne fa carico. La “giustizia” antimafia ha avuto modo di espandere le sue competenze, ha ottenuto strumenti speciali, ha costituito un magnifico campo di ottimi affari per imprenditori, appunto, “antimafia”, oltre che per qualche magistrato, figlio, parente, amico di magistrati (antimafia, naturalmente) particolarmente versato all’imprenditorialità. L’Antimafia reclama una sua “superiorità” non solo nei confronti della politica, ma delle stesse Istituzioni, dello Stato. Talvolta, un caso non meramente ipotetico ed astratto, l’Antimafia processa anche lo Stato.

Come una volta i Pontefici rivendicavano il potere di spodestare (delegittimare, si direbbe oggi) Imperatori e Re, in base al principio “omnis potestas a Deo”, con la conseguenza che una “buona scomunica” (come avrebbe detto G.G. Belli) potesse far tremare e rovesciare qualsiasi trono, oggi ci sono in Iran i “Guardiani della Rivoluzione Komeinista” che fanno le bucce ai ministri. E ci sono da noi magistrati decisamente Komeinisti che pretendono di fare altrettanto o soffrono per non poterlo fare. Il Komeinismo giudiziario antimafia ha raggiunto il culmine. Ma, proprio ora, si affaccia alla vista la “discesa”. Qualcuno di quelli là se lo è domandato anche in passato: “E se finisse la mafia?”. Ma a pensare a certe funeste sciocchezze erano in pochi e praticamente nessuno se ne faceva una vera preoccupazione.

Ma oggi qualcosa deve essere cambiato. L’Antimafia è in crisi, lo ammettono i suoi più sfegatati assertori. Danno segno di nervosismo i più adulati Pm antimafia. Qualche notizia di grottesche malefatte di personaggi “antimafia”, laici e togati o, magari in tonaca, viene fuori “bucando” il silenzio complice della stampa. Persino Rosy Bindi ammette che c’è un affarismo targato “antimafia”. E allora: che succede se la mafia scompare? Matteo Messina Denaro non vivrà in eterno ed un giorno o l’altro, magari per sbaglio, lo acchiapperanno. Il “bidone” dell’attentato a Di Matteo si rivela sempre più evidentemente per quello che è: un bidone. Per non parlare dello scandaletto (che non è piccolo, ma in paragone alla realtà…) dell’amministrazione dei beni sequestrati, benché poco se ne parli, ha lasciato il segno. E allora? E allora, si cerca di fare quel che in genere si fa quando un’impresa scricchiola, traballa, rischia di chiudere i battenti. I lavoratori si mettono in allarme, invocano nuove commesse che assicurino lavoro per un altro bel po’ di tempo.

Leggete l’ultima relazione della Direzione Nazionale Antimafia (Dna). Accanto a molte cose ovvie ed a molte altre assolutamente inconcludenti e più che discutibili, c’è un manifesto affanno per annunziare, prevedere, assicurare che la mafia, ancorché colpita dalla vigile, pronta, efficace azione della magistratura e delle forze dell’ordine, cerca di ricostituire le sue strutture centrali, di rimettere in piedi “la commissione”, ecc. ecc.. Matteo Messina Denaro? Bisogna prenderlo a tutti i costi, altrimenti la partita con la mafia, anche simbolicamente, resta ancora aperta. Ci siamo! 3 Non è vero che la mafia è divenuta la “normale” criminalità organizzata di tutti i Paesi. “E! Ci mancherebbe”. Ma non basta. L’Antimafia ha bisogno, per assicurare un avvenire adeguato ai suoi molti e diversificati professionisti, di nuove commesse di lavoro.

Il terrorismo! Ecco una bella gatta da pelare a lungo, che consentirà di pelarci ancora tutti quanto per chissà quanto tempo. Per la Dna la lotta all’Isis è “cosa nostra”, cioè dell’Antimafia. L’Isis, il terrorismo islamico, la jihad, il califfato, lo Stato mediorientale, i carri armati, le pubbliche decapitazioni, le minacce di vari Stati del cosiddetto Occidente, le stragi di Parigi sono null’altro che una mafia come le altre. Quindi, “cosa nostra”.

E se si dovesse andare ad una guerra guerreggiata (che, poi, già c’è)? Bene, si prende la legge antimafia e le truppe, “coordinate” dal dottor Pinco Pallino della Procura Antimafia di Palermo con la toga sulla tuta mimetica, marceranno esibendo mandanti di arresto e, non dimentichiamocelo, provvedimenti di sequestro e di confisca dei beni jihadisti siti in Asia, in Africa, e nel resto del mondo, in quanto appartenenti “di fatto” a persone “riconducibili” all’organizzazione “Isis Nostra”.

L’Italia, dotata di leggi speciali antimafia, con un’apposita Commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi, avrà, naturalmente una funzione direttiva, imponendo alla guerra all’Isis un carattere, come direbbe Gentiloni, “non conflittuale”. Se ad una ipotetica offensiva contro le basi dell’Isis (offensiva cui si darà il nome di un qualche Pm ben addestrato) seguirà una controffensiva dell’Isis, la magistratura dovrà preoccuparsene fino ad un certo punto, anche se i “tagliagole” vengono qua in massa. Papa “Che” Bergoglio ci inviterà tutti all’accoglienza”. E buonanotte.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:54