Anche Confindustria cambia verso

Dunque, a quanto pare, anche Confindustria cambia verso. Il neoeletto presidente Vincenzo Boccia si è schierato apertamente con le riforme renziane, appoggiando soprattutto quella del Senato. Ma è sul fronte caldo dell’economia, in cui il Paese reale rischia seriamente di emulare la voragine che si aperta nella città del premier, che Boccia sembra aver dato il meglio di sé nel suo discorso d’investitura, tenutosi all’assemblea generale di Confindustria a Roma. Boccia ha iniziato la sua prolusione con un ossimoro che la dice lunga sulle capacità acrobatiche del personaggio: “La nostra economia è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa”.

Tuttavia l’apice del suo intervento è stato raggiunto sul tema altrettanto nodale della tasse, con una precisa richiesta rivolta all’Esecutivo dei miracoli: “Spostare il carico fiscale alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese e aumentando quello sulle cose, abbattere le aliquote con le risorse derivanti dalla revisione degli sconti fiscali e dalla lotta all’evasione”.

Quindi, secondo il successore di Giorgio Squinzi, il problema di un sistema economico devastato da un prelievo tributario allargato insopportabile non si risolve con una pur graduale riduzione di uno Stato elefantiaco e sanguisuga. Secondo Boccia occorre invece ripartire diversamente, a vantaggio dei settori produttivi che egli presume di rappresentare degnamente, un fardello fiscale il quale, considerando deficit e spese per interessi, ogni anno sottrae alla collettività ben oltre metà del reddito, tra tasse attuali e tasse future. Dopodiché, secondo l’illuminato parere di questo signore, spremendo ulteriormente il limonaccio dei consumi con Iva e accise da incubo e tartassando oltre ogni misura qualunque forma di proprietà, mobiliare o immobiliare che sia, i consumi e gli investimenti privati dovrebbero pure aumentare?

A tale proposito vorrei ricordare al capo degli industriali, il cui fatturato - nonostante le magie del suo pupillo al timone del Paese - è precipitato a marzo con un meno 3,6 per cento, che l’Italia è uno dei pochi Paesi dell’Unione che ha affrontato la crisi mondiale sostanzialmente aumentando il prelievo fiscale, fatta salva la Legge Fornero sulle pensioni; quest’ultima oggetto peraltro di continue revisioni al ribasso per pure ragioni di consenso. Ed è per tale motivo che, malgrado le crescenti ondate di liquidità che la Bce riversa anche sull’Italia, il cavallo dell’economia non beve, come si suol dire.

La proibitiva tassazione esercitata da quello che Oscar Giannino definisce Stato ladro funziona come un immenso buco nero il quale, insieme alle enormi risorse che ingoia, si porta via ogni incentivo a creare ricchezza da parte di un ceto produttivo sempre più stremato. E non sarà certamente invertendo i fattori di una operazione comunque sbagliata che l’economia italiana potrà riprendere a crescere a tassi ragionevoli.

Da questo punto di vista tagliare le imposte in deficit, come cerca malamente di fare l’ex sindaco di Firenze, o ripartire diversamente l’enorme fardello fiscale rappresentano entrambe opzioni che non ci portano molto lontano. Forse ci vorrebbe qualcos’altro. Magari un rappresentante dell’industria che parli anche di eccesso di spesa pubblica e della necessità, visto l’enorme indebitamento del sistema, di tenere in equilibrio i conti pubblici. Non certamente un Boccia che, sempre nel corso del medesimo discorso, ha tessuto l’elogio di un premier paladino della flessibilità europea, ovvero di quegli ulteriori debiti che prima o poi qualcuno dovrà ripagare. Proprio non ci siamo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:55