Non sarà menagramo, ma è ridicolo

Nei giorni scorsi, quando la stampa leccapiedi ha dato al mondo la notizia dell’ammonimento solenne di Matteo Renzi al popolo britannico perché votasse contro l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, essendo un convinto sostenitore della necessità della presenza inglese per la credibilità stessa dell’Europa, ho avuto una sensazione di sconcerto e, lo confesso, una subitanea spinta a fare scongiuri. Ma, soprattutto, quel gesto di supponente insegnamento agli inglesi della giusta via da seguire per fare i propri interessi non è riuscita nemmeno a farmi ridere. Ho solo sperato che quella gaffe più ridicola che pretenziosa passasse inosservata in Gran Bretagna e altrove. Perché se la gaffe era di Renzi, il ridicolo, purtroppo finiva con l’estendersi a tutti noi italiani. Quel gesto era tipicamente “renziano”.

C’era, da qualche giorno, aria di forte ripresa della parte favorevole alla permanenza britannica nell’Unione. Uno come Renzi, abituato a rincorrere quelli che sembrano gli umori prevalenti della gente, deve aver inteso una voglia irresistibile di saltare sul carro che sembrava del vincitore, a costo di sentirsi, magari, pregare di non dare fastidio e scenderne subito. Non dico che se avesse vinto il no alla “secessione” Renzi si sarebbe vantato di averne il merito, ma certo non avrebbe mancato di esercitarsi in pavoneggiamenti per esaltare la sua lungimirante coerenza e nell’avanzare parallelismi tra il referendum britannico e quello italiano.

Ora lo sentiremo giuocare la carta del catastrofismo e della necessità di non “aggravare”, con un’altra sciagura rappresentata dalla crisi del suo governo e del suo sistema e, magari con il rigetto della sua ridicola riforma costituzionale, i grossi guai dell’Europa e del Mondo, il crollo delle Borse ecc. ecc.. Non è improbabile che l’esito del voto britannico giovi a Renzi, malgrado la gaffe della pretesa di insegnare agli inglesi come fare i propri interessi, per superare, nel suo stesso partito, il brutto momento che deve affrontare. In fondo è andato al Governo grazie alla incombente “sciagura” del successo grillino. Può darsi che riesca a rimanerci ancora un po’, agitando lo spauracchio del terremoto per la secessione britannica. Ma il nostro problema non è quello della “discordia nel campo di Agramante” del renzismo e di qualche giorno o mese in più della sua permanenza a Palazzo Chigi, anche se gli espedienti che porrà in atto per protrarlo il più possibile ci potranno costare cari. Il problema è, oramai, quello di una politica seria, di una rinascita del “partito della ragione”, di un nuovo illuminismo. In fondo Renzi sarebbe meglio poterlo soltanto dimenticare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:51