Berlusconi e le parole che non ha detto

C’è una male che affligge coloro che si sono cimentati nella corsa alla leadership del centrodestra. Si chiama sordità selettiva. Costoro sentono solo ciò che gli aggrada sentire e ci costruiscono su spericolate teorie. È accaduto, di recente, con la storiella dell’endorsement che Silvio Berlusconi avrebbe fatto a Matteo Renzi definendolo l’unico leader in circolazione. Lo ha detto, è vero! Ma c’era un altro pezzo del discorso che andava ascoltato. Però i corridori per la palma di capo della coalizione sono partiti in quarta a dirsi sorpresi e disorientati. Se si fossero applicati a riflettere avrebbero scorto il filo di un sottile ragionamento appena sotto la superficie delle parole del vecchio leader. Il senso di quel discorso delineava i contorni di una visione chiara dell’unico modo possibile per tenere in piedi questa nostra democrazia traballante: il bipolarismo dell’alternanza.

Ha detto testualmente Berlusconi: “Fuori della politica forse c’è qualcuno che dalla politica è stato sbattuto fuori”. È evidente che si riferiva a se stesso. Ciò vuol dire che dalla cosmogonia berlusconiana non sia stata affatto espunta la dinamica delle due forze, ontologicamente contrapposte, della coppia alternativa destra-sinistra. Onde per cui se Renzi è il campione del suo campo lui, Berlusconi, lo sarebbe a pieno titolo dell’altro se non fosse che un tavolo di bari, truccando le carte della giustizia, non lo avesse messo fuori dal gioco parlamentare. Quindi, calma e gesso! Non c’è nessuna tentazione nazarena alle viste perché nessuno, e Berlusconi più degli altri, potrebbe desiderare il suicidio come atto finale di una storia politica. Ed è la medesima ragione per la quale tutti coloro che ambiscono a raccogliere consensi tra i moderati per portarli, a urne chiuse, alla corte renziana, compiono un madornale errore di valutazione. Gli aspiranti primatisti del salto del fosso dovrebbero porsi una semplice domanda: perché un elettore di destra dovrebbe dare il voto a qualcuno che poi lo porterà in dote a Renzi quando, volendo, potrebbe darlo direttamente all’interessato sottraendolo ai ricatti e alla voracità di infidi alleati? La sola speranza che chiunque sia chiamato a rappresentare la coalizione al fianco del suo padre nobile, che è Berlusconi, possa recuperare i consensi perduti è dire in modo categorico: “Non sto con Renzi ma mi batto per sostituirlo, per via democratica e non giudiziaria, alla guida del Paese”.

La precisazione berlusconiana su chi siano oggi i soli leader in campo è importante anche per un altro motivo. Non si parla di Beppe Grillo e dei suoi. Ciò vuol dire che dalle parti di Arcore si sia pienamente compreso quanto possa essere pericoloso accreditare uno scenario tripolare piuttosto che rafforzare l’idea dell’unica via bipolare. Il Movimento Cinque Stelle deve restare relegato alla condizione disgregante di espressione del malessere. Guai a riconoscergli la dimensione di polo attrattivo di una nuova cultura politica che non ha. E non merita. Soltanto la pusillanimità degli avversari potrebbe conferire ai Cinque Stelle uno spessore ideale che nella realtà non trova spazio oltre l’orizzonte asfittico e demagogico dei “Vaffa…”. Si dirà: sono al 28 per cento dei voti nella media dei sondaggi. E con questo? Anche il “Fronte dell’Uomo Qualunque”, di Guglielmo Giannini nel 1946, con un 5,3 per cento di consensi ottenuti, fece eleggere 30 deputati all’Assemblea Costituente, diventando, all’alba della Repubblica, il quinto partito nazionale.

Cionondimeno, alle elezioni politiche del 1953 dei “qualunquisti” dell’antipolitica di Giannini non vi era più traccia. Grillo e i grillini non sono il mare, sono l’onda che monta, si infrange sulla costa e si ritira. Il problema non sta nella pretesa dei folli di abolire le onde, ma nel buon senso dei saggi di approntare robusti argini perché quando esse si abbattono non facciano danni più del necessario. Berlusconi mostra di averlo compreso. Ma vale altrettanto per gli altri del centrodestra?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02