Che cosa fare  della destra italiana

Sull’onda dell’euforia che ha seguito la sonora bocciatura popolare della riforma costituzionale renziana, anche da destra si sono uditi molto alti i peana di guerra. Si invocano elezioni politiche subito, soprattutto dalle parti dei cosiddetti lepenisti italiani, con l’idea di battere il ferro quando è ancora caldo. Più prudente, al contrario, la linea di Forza Italia la quale, tra le altre cose, dovrà prima o poi fare i conti con uno schieramento profondamente mutato rispetto all’ultimo Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi (sempre che il ritorno ad un sistema di voto di stampo proporzionale non spinga le forze politiche ad andare in ordine sparso). In quel periodo gli echi populistici di chi oggi invoca l’uscita dall’Euro e una sorta di sovranismo autarchico a 360 gradi non venivano ancora percepiti.

Oggi però, sulla spinta di una magmatica protesta contro il cosiddetto establishment che sta scuotendo l’intero Occidente avanzato, avanza anche da noi a grandi passi la politica della facile semplificazione, delle scorciatoie salvifiche che, con tutto il rispetto democratico per chi vi presta fede, non possono che peggiorare la condizione di un Paese che viaggia perennemente sull’orlo del baratro. Tale semplificazione, che a mio avviso rappresenta la classica risposta sbagliata ad un innegabile e molto diffuso disagio sociale, ha inizialmente determinato l’esponenziale crescita del Movimento Cinque Stelle, per poi impossessarsi di una vasta porzione dell’area politica del vecchio centrodestra.

Ovviamente, in questa particolare temperie si ha buon gioco a sventolare in faccia al popolo più imbufalito il drappo rosso della cattiva Europa a trazione germanica, dell’euromoneta che ci impedisce di espandere più di quanto non stiamo già facendo il nostro colossale indebitamento, delle banche descritte come nemiche del benessere comune. E se a farlo senza alcuna prudenza sono i grillini ci può anche stare, visto che nascono da una profonda istanza anti-sistema. Ma se anche la destra italiana nel suo complesso, da tempo accreditata come affidabile area politica di governo, adotta in blocco la medesima linea allora sono guai. In primis perché, assumendo quasi in fotocopia la visione sovranista dei grillini, è assai verosimile che molti elettori possano scegliere questi ultimi, anche in considerazione che essi appaiono politicamente più “nuovi” dei vari Salvini e Meloni, i quali in qualche modo provengono da una coalizione che ha retto a lungo le sorti del Paese. In secondo luogo, e questa mi sembra l’obiezione più fondata, ammesso e concesso di riuscire a creare un nuovo rassemblement che riunisca lepenisti e forzisti e postulando che questa operazione venga coronata da un clamoroso successo elettorale, mantenere la barra sull’attuale impostazione seguita dalla Lega e da Fratelli d’Italia sarebbe a dir poco folle.

In estrema sintesi, se la proposta politica di un ritorno alla sovranità monetaria e ad uno spiccato protezionismo doganale è in grado di solleticare la pancia più profonda della nazione, essa in realtà non può che accelerare il processo di desertificazione economica da molto tempo in atto nel Paese, trasformando l’inesorabile declino che ci affligge in un vero e proprio tracollo sistemico. Nel qual caso, dopo una iniziale esaltazione collettiva, il popolo medesimo rincorrerebbe coi forconi i profeti di questa sorta di new deal di Pulcinella. Prendere i voti in una situazione di dissesto è sempre facile per chi sta all’opposizione, come insegna l’esperienza del M5S. La vera abilità, che denota sempre qualità politiche elevate, sta nel farlo proponendo soluzioni praticabili. E queste ultime penso che le possa avanzare solo una destra autenticamente liberale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02