Beppe Sala docet

Nella (sua) riorganizzazione del Partito Democratico, Matteo Renzi ribadisce che vuole ripartire dai territori. E dai sindaci, in particolare. Una decisione intelligente. I sindaci possono rappresentare una carta importante per un partito che viene da una tradizione forte di “municipalismo”. Anche se offuscata, e non poco, negli ultimi anni.

I primi cittadini possono essere una risposta all’estremo verticismo che ha rappresentato una delle caratteristiche della nostra politica più o meno recente. Acuendo, e non poco, il distacco tra eletto ed elettore. Esasperato da leggi elettorali dove la “nomina” prevaleva sull’elezione. Cosa che, invece, non è stata per i sindaci. I quali, anche grazie a leggi elettorali che premiano la persona ma non offuscano obbligatoriamente il partito, hanno potuto mantenere visibilità e contatto con l’elettorato.

E poi, quella di rivolgersi alla propria dirigenza sul territorio può essere anche una buona risposta all’antipolitica dell’incompetenza. Perché si premiano persone che hanno lavorato e imparato. L’obiettivo di Renzi, origliando qua e là, sembra essere quello di andare a votare a giugno. Con un’impazienza che potrebbe far pensare ad un certo timore di perdere un ipotetico “abbrivio”, che l’ex sindaco di Firenze pensa ancora di avere. A questo intento non lo fa desistere neanche la benvenuta sentenza della Corte costituzionale. Che, dichiarando inammissibile il quesito sull’articolo 18 promosso dalla Cgil, gli ha tolto una grande patata bollente dalle mani. Senza dimenticare che, a quanto pare, non c’è stata ancora nessuna discussione vera all’interno del partito che “elaborasse il lutto” della sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Serviva una riflessione pubblica nel Pd, tramortito, e non poco, dagli eventi.

Ma è proprio da un sindaco (e di peso, per giunta) che arriva uno “stop” a Renzi. Infatti, con un lucido articolo apparso domenica scorsa sul Corriere della Sera, Beppe Sala invita il segretario del Pd ad una riflessione più profonda. Ad un “deficit” di dinamismo elettorale, al fine di concentrarsi anche su quello che è il suo ruolo attuale; ovvero, di segretario di un partito bisognoso di guida, dopo un periodo turbolento, e non solo di un candidato premier.

La lettera di Sala riflette la concretezza di un universo milanese fatto di dinamismo e ricerca di soluzione concrete. In cui, come fatto osservare da qualcuno, la politica deve essere prima di tutto ancillare al buon funzionamento delle cose. E non un modo solo di determinare l’assetto di potere e la prevalenza di una corrente. Milano non guarda a Roma e alle sue dinamiche politiche, se non in senso puramente strumentale. Ma è concentrata su se stessa, con gli occhi sempre rivolti verso l’Europa. Quello di Sala è, in definitiva, un programma politico. Il quale parte dai progetti in campo ma che non sottace affatto l’importanza di una riflessione politica forte sulle ragioni della sconfitta referendaria. Con la chiara intenzione di mettere al centro del campo politico non solo il dibattito, ma anche un sano principio di responsabilità, che dovrebbe sottendere ogni comportamento e scelta politica.

Perché Renzi, comunque la si voglia vedere, oggi è un perdente. E di questa sconfitta deve renderne conto. Per poi ricominciare anche una risalita verso Palazzo Chigi. La richiesta esplicita di portare a termine la legislatura, non ha affatto in Sala il sapore di un traccheggiare. Ma di rendere evidenti sforzi e risultati di un partito che si prende le sue responsabilità. E che non può disarcionare l’ennesimo suo uomo a Palazzo Chigi senza che questo non renda ancor più confuso il già critico momento politico del Pd. Perché, oggi più che mai, si deve stare ben attenti alla percezione che la gente ha dell’agire politico. Che, se rimane chiuso solo in logiche di (auto)attribuzione di potere, e spartizione dello stesso, rischia di rinfocolare il già esasperato populismo che gonfia le vele ai vari Cinque Stelle. Un banco di prova importante sarà la legge elettorale. Che non dovrà essere né percepita, e né tantomeno nella sostanza, un’architettura per assicurare un potere a coloro che la elaborano. Ma un sano strumento di stabilità e partecipazione democratica.

Sala docet. E Matteo stai sereno.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 17:59