Prescrizione: il potere   dell’irragionevolezza

Abbiamo dato notizia l’altro giorno di una manifestazione in cui l’omaggio al magistrato collezionista di cittadinanze onorarie su proposta del Movimento Cinque Stelle si appaia ad apocalittiche visioni dei malanni provocati dalla “inevitabile” (a causa di una “colpevole” brevità dei relativi termini) prescrizione dei reati.

Occorre dire subito quel che non dovrebbe essere necessario. Perseguire reati commessi anni ed anni prima, tanti di più, naturalmente, quanto più gravi sono i reati, è assurdo e contrario alla ragionevolezza, che dovrebbe essere il principio basilare della giustizia.

Ripugna al buon senso che una condanna ed una pena da scontare vengano inflitte quando il reato è stato compiuto in tempo così lontano da esserne scomparsi se non il ricordo, gli effetti, l’allarme sociale, lo scandalo, il desiderio di vendetta. Così solo i reati puniti con l’ergastolo, la pena massima, cioè i più gravi, non sono soggetti a prescrizione. I termini di prescrizione (con alcuni casi di interruzione ben delimitati) debbono quindi individuare quei reati che devono considerarsi estinti. Sistema ragionevole, che presuppone che la durata dei processi, dalla quale dipende in massima parte il maturare della prescrizione, sia a sua volta ragionevole.

Ma qui sorge il problema. O almeno su ciò si fonda l’intolleranza dei magistrati per quella “costrizione” a dover mandare in porto i processi in tempi che non comportino il maturare della prescrizione prima della (eventuale) condanna definitiva. L’irragionevole durata dei processi, malattia cronica e, si direbbe, inguaribile della giustizia italiana, ha comportato conseguenze evidenti nella frequenza della caduta della scure della prescrizione che ne estingua l’oggetto, il reato. La ragionevolezza avrebbe imposto di premere l’acceleratore sulla conduzione dei processi penali, evitando rinvii scandalosamente lunghi. E lavorando, i magistrati un pochino di più, facendo, magari a meno di dedicarsi a pellegrinaggi per acquisire cittadinanze onorarie in luogo di indulgenze.

Se (cosa tutt’altro che accettabile per certa) la lunghezza spropositata dipende dal numero esorbitante di procedimenti penali da sbrigare, la ragione, il buon senso imporrebbero di evitare con ogni cura di intraprendere azioni penali “spericolate”, complicate, fondate su meri indizi. E quelli per casi chiaramente bagatellari, pretestuosi, compiendo sin dall’inizio un giudizio di probabilità che il processo vada in prescrizione prima della conclusione.

La questione si inquadra e si integra con quella della obbligatorietà dell’azione penale ed ancor più con quella delle indagini delle Procure “alla ricerca di notizie di reato” (con l’avvento di un vero “potere ispettivo” delle Procure). Ma secondo le teorizzazioni e le querimonie dei magistrati i termini di prescrizione non debbono servire a stabilire quali processi non s’hanno da fare e da continuare, ma sono i termini che debbono essere congegnati, fatti decorrere, essere o non essere sospesi ed interrotti perché i processi si facciano sempre, anche quelli balordi, rilevanti solo a pretesi fini “storici” cioè perché la prescrizione non operi anche con l’effettivo decorso di un tempo incredibilmente ed irragionevolmente lungo dal fatto contestato.

In altre parole, secondo le teorizzazioni e le querimonie di pubblici ministeri, giudici, giovani avvocati, guru e vice guru, l’irragionevolezza della durata del processo deve avere la prevalenza, essere considerata come “normale” più della ragionevolezza del non emettere sentenze e condanne per fatti verificatisi in altri secoli. Torneremo sull’argomento. E ci tornerà l’Osservatorio per la Giustizia. E, intanto, prendiamo atto di questo sopravvento dell’irragionevolezza sulla ragionevolezza che si aggiunge alla gloria della nostra povera giustizia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46