Europeisti/antieuropei, il giochino dei populisti

Pier Luigi Bersani, nel 2013, ha cercato illusoriamente di fare un governo col Movimento 5 Stelle. Renato Brunetta ha invitato a sceglierlo nel secondo turno delle elezioni amministrative del 2016. Massimo D’Alema, l’altro giorno - ma non è il solo nella sinistra dem - ha consigliato di non demonizzarlo, perché Chiara Appendino è il miglior sindaco d’Italia.

Sorprende che uomini politici di vecchio corso non abbiano ancora capito la vera natura del Movimento 5 Stelle. Intanto Beppe Grillo ringrazia, sornione, per la credibilità che gli viene riconosciuta dagli avversari, di volta in volta, in attesa di batterli definitivamente, tutti assieme, alle prossime elezioni. Resto convinto che Matteo Renzi sarebbe stato in condizione di sbarrargli la strada. Ma, i troppi errori commessi, lo spregiudicato calcolo della minoranza Pd, le ambizioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni, le ambiguità di Forza Italia, sembrano aver rotto l’ultima diga.

La pericolosità del M5S emerge nitida anche dall’ultima intervista di Grillo al Journal du Dimanche. Donald Trump e Vladimir Putin sono glorificati come hommes forts. Ma come, solo due mesi fa i grillini non girovagavano per l’Italia a contrastare il rischio dell’uomo solo al comando? “Dum Romae consulitur, Italia expugnatur”. Silvio Berlusconi immagina un proporzionale capace di mettere assieme Pd e Forza Italia nella prospettiva postelettorale antipopulista. Ma, o si comprendono i mali che gonfiano i populismi italiani, oppure un’alleanza di questo tipo, spuria in sé, rischia di essere l’ennesimo regalo al grillismo.

Il nodo centrale è l’Unione europea e l’Euro. I populisti hanno buon gioco ad additarli come la principale causa della crisi. Per questo ne chiedono l’abbandono, nonostante l’Europa sia più che necessaria dopo l’elezione di Trump. All’Euro e all’Europa vengono accomunati i partiti che non la osteggiano, dividendo il corpo elettorale tra chi è pro e chi è contro l’Unione. La schematica contrapposizione antieuropei/filo-europei è nel gioco dei populisti. Questa forzosa contrapposizione in due fronti, non più sull’asse destra-sinistra o popolari-socialisti, è un tranello pericoloso e inaccettabile. Mai come oggi sarebbe utile un consenso ampio per politiche di difesa comune. Una lotta comune al terrorismo. Una posizione comune in grado di affrontare i problemi dell’emigrazione.

Partito Democratico e Forza Italia possono anche trovare alcune intese per fronteggiare i populismi nostrani, ma parlino chiaro sul futuro dell’Europa. Il referendum francese e olandese del 2007 hanno definitivamente affondato il modello federale. La Costituzione europea non è mai esistita. Ogni riferimento al “federalismo” va rimesso nel libro dei sogni. Il nobile Manifesto di Ventotene va considerato per quello che è: irrealizzabile. La nuova Europa non potrà che essere “di tipo confederale”, con livelli di sovranazionalità limitati e circoscritti alla conservazione delle condizioni minime dell’Unione e dell’Euro. Così agendo, si smonteranno sul nascere le contestazioni “sovraniste” dei populisti.

Ogni confronto con la storia degli Stati Uniti è, del resto, improponibile. Lì c’era la comune cultura politica britannica, la stessa lingua, gli stessi costumi, i legami storici, la religione, il deserto disorganizzato delle comunità indigene. In Europa, invece, c’è la storia millenaria delle nazioni e degli imperi, il residuo delle loro ambizioni coloniali, il particolarismo delle lingue e delle religioni. La Brexit è la pietra tombale della costruzione di un’Europa di tipo federale. Chi resta ne deve prendere atto. L’Europa dei mercati, delle banche e della finanza non piace a nessuno. L’identificazione dell’Europa con un organismo di controllo che si occupa solo delle politiche di bilancio degli Stati è insopportabile. L’integrazione economica è sempre stata considerata un mezzo, non il fine dell’Unione, perché il fine resta la salvaguardia della democrazia, la pace tra i popoli, i diritti di libertà. I fini non sono cambiati.

Resta valida la lettura del cancelliere tedesco Helmut Kohl, secondo cui l’Unione europea rappresenta la fine delle guerre fratricide tra i popoli europei. Il ritorno ai nazionalismi andrebbe nella direzione opposta. La minaccia islamica, l’instabilità del Medio Oriente, la Turchia, la Libia, la Siria, l’Iraq, l’eterno conflitto israelo-palestinese, Trump e Putin, richiedono la messa in opera di strumenti di difesa militare e culturale più stretti. Non più nazionalismi. È su questi temi che ci si deve dividere, tra chi crede che la democrazia e la difesa dei diritti abbiano ancora un senso e chi propone un vago e indistinto “cambiamento” delle regole della democrazia, nell’assoluta nebulosità dei fini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46