Per una nuova visione del diritto all’ambiente

Fra i diritti umani essenziali, insieme con le libertà fondamentali, quello alla vita deve essere tutelato anche attraverso la protezione dai rischi determinati dall’azione dell’uomo stesso sull’ambiente. A quasi cento anni dalla propria fondazione nel 1919 e settanta dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, la Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu Onlus) si propone quindi di sostenere e promuovere tra i suoi compiti istituzionali anche la conservazione dell’ambiente e delle sue risorse, lo sviluppo sostenibile basato sulla carring capacity (intesa come capacità di un territorio di sostenere gli individui che in esso vivono) e l’educazione ambientale. Per questo fonda, con questo documento, l’Osservatorio sull’Ambiente per il Governo del Territorio.

Se i diritti civili e politici vengono definiti “di prima generazione” e quelli economici e sociali “di seconda”, quello all’ambiente è a volte considerato come un diritto collettivo o solidale “di terza generazione”; tuttavia, questa classificazione non va intesa come una scala di valori. La tutela dell’ambiente e quella della persona sono infatti legate da una reciproca funzionalità, poiché ogni aggressione all’ambiente condiziona di fatto la qualità della vita umana. Il binomio ambiente e diritti umani ne richiama, del resto, un altro particolarmente caro alla Lidu e alla sua storia: libertà e responsabilità. Il proprio diritto su una parte di un bene comune è limitato dal diritto su di esso degli altri: nel caso dell’ambiente, anche delle generazioni future. Si tratta, quindi, di un diritto non solo intragenerazionale, ma anche intergenerazionale.

Benché la Costituzione italiana non citi esplicitamente un diritto ambientale, vi sono almeno due articoli richiamati più volte dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione in materia di danni all’ambiente. La Repubblica, infatti, come stabilito dall’articolo 9, secondo comma, tutela “il paesaggio [...] della Nazione”; e, secondo il primo comma dell’articolo 32, “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. La centralità della questione ambientale dovrebbe però, a nostro avviso, riflettersi in modo più esplicito e cogente nella legislazione e nel quadro amministrativo.

A un diritto umano all’ambiente fa cenno l’articolo 12, secondo comma, lettera b) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, del 1966, secondo il quale gli Stati parte devono prendere misure per “il miglioramento di tutti gli aspetti dell’igiene ambientale e industriale”. La materia fu poi discussa nel giugno 1972 in una Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente tenuta a Stoccolma; e vent’anni dopo un’analoga conferenza a Rio de Janeiro associò nel titolo il termine ‘sviluppo’ e si concluse con una “Dichiarazione di Rio” contenente 27 principi. Mentre alcuni di essi sono contrastanti, riflettendo una semplicistica visione terzomondista, tre ci sembrano particolarmente rilevanti. Per il terzo principio, il diritto allo sviluppo “deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all’ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future”. Il quarto stabilisce che “al fine di pervenire ad uno sviluppo sostenibile, la tutela dell’ambiente costituirà parte integrante del processo di sviluppo e non potrà essere considerata separatamente da questo”. Il decimo considera il ruolo della società civile: “Il modo migliore di trattare le questioni ambientali è quello di assicurare la partecipazione di tutti i cittadini interessati, ai diversi livelli. Al livello nazionale, ciascun individuo avrà adeguato accesso alle informazioni concernenti l’ambiente in possesso delle pubbliche autorità, comprese le informazioni relative alle sostanze e alle attività pericolose nelle comunità, e avrà la possibilità di partecipare ai processi decisionali. Gli Stati faciliteranno e incoraggeranno la sensibilizzazione e la partecipazione del pubblico rendendo ampiamente disponibili le informazioni. Sarà assicurato un accesso effettivo ai procedimenti giudiziari ed amministrativi, compresi i mezzi di ricorso e di indennizzo”. Se la Dichiarazione di Rio ha valore etico ma non è giuridicamente vincolante, la Convenzione di Aarhus (firmata in quella città danese nel 1998 ed entrata in vigore nel 2001) ha valore giuridico per gli Stati che l’hanno ratificata e impone loro di “contribuire a tutelare il diritto di ogni persona, nelle generazioni presenti e future, a vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere” attraverso l’accesso all’informazione, la partecipazione ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia. Tre “pilastri” sui quali costruire un nuovo modello di democrazia ambientale. Partendo da questi, l’istituzione dell’Osservatorio sull’Ambiente per il Governo del Territorio presso la Lidu si propone di stimolare la partecipazione consapevole della collettività alle attività decisionali aventi effetti sull’ambiente.

Le politiche adottate dagli Stati come dagli enti pubblici territoriali locali devono seguire le indicazioni quasi coercitive della natura, che può essere solo assecondata e non ignorata poiché è capace di esprimersi in maniera distruttiva ed imprevista, così come dimostrano frequentemente i fenomeni naturali che incidono in maniera determinante anche sullo sviluppo economico e sociale dei territori. Il dissesto idrogeologico e la sismicità in molte regioni italiane sono infatti tali che l’immaginazione politica di Marco Pannella aveva espresso più volte l’idea di un “geologo di quartiere”: un’apparente provocazione, ma in realtà l’indicazione della necessità di collegare efficacemente con urgenza legislazione, amministrazione e conoscenza scientifica del territorio e dei suoi rischi.

Non soltanto occorre smettere di limitarsi a politiche di intervento dopo i disastri e operare sulla prevenzione; ma la cultura della sicurezza ambientale deve ormai superare anche l’approccio semplicemente preventivo per attuare una resilienza basata su strategie, programmi, progetti di carattere proattivo per la qualità dell’insediamento, in una visione olistica ed integrata. In questo rientrano, ad esempio, i piani per il governo dei fiumi e grandi progettualità finora rimaste inattuate come quella proposta dall’architetto Aldo Loris Rossi per una “rottamazione dell’edilizia post-bellica priva di qualità e non antisismica”.

La tutela ambientale deve costituire un elemento chiave dei sistemi economici e produttivi e un obiettivo primario di politica sociale. Economia, produzione e ambiente possono armonizzarsi: una personalità politica come Valerio Zanone, che fu presidente d’onore della Lidu, poté in piena coerenza, con competenza e passione, essere titolare prima del ministero dell’Ecologia (costituito nel 1984 e antesignano dell’attuale ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) e successivamente del ministero dell’Industria. Mentre occorre contrastare chi, alimentando un clima di sfiducia, pone in questione la democrazia rappresentativa, un coinvolgimento costruttivo della società civile può basarsi proprio sulla crescita della consapevolezza di quanto sia necessario intervenire a difesa dell’ambiente, non agitando una sterile antipolitica ma con gli strumenti della scienza e del diritto. L’interlocuzione attenta di espressioni qualificate della società civile nei processi decisionali può rappresentare una via per ottenere decisioni migliori facendo emergere la questione ambientale come una priorità politica. Di tali istanze la Lidu vuole farsi portavoce, in quell’ottica di responsabilità sociale, oltre che individuale, che ha sempre caratterizzato la nostra storia.

(*) Paola Rizzuto è avvocato esperto ambientale, responsabile dell’Osservatorio della Lidu sull’Ambiente per il Governo del Territorio. Antonio Stango, politologo, è presidente nazionale della Lidu e co-promotore dell’Osservatorio

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44