Ipocrisia “sovranista”

Prima con il referendum costituzionale, adesso con le diatribe sull’Unione europea, in molti hanno riscoperto il valore della sovranità nazionale. Sovranisti sono soprattutto i movimenti populisti che prolificano in tutta Europa. Beppe Grillo e Matteo Salvini in Italia che, in questo modo, pensano di dare un volto ai loro movimenti, diversamente privi di storia e d’identità. Hanno buon gioco in questa impresa, di fronte a un’Europa ferma, divisa, difficilmente identificabile, priva com’è di qualsiasi idea comune sulle questioni più calde del tempo presente. La gente avverte che i pericoli per la propria sicurezza, fisica ed economica, vengono da fuori. La crisi economica globale, il terrorismo di matrice islamica, i fenomeni migratori incontenibili, sono minacce che vengono “da fuori”. Per questo l’opinione pubblica sta diventando sempre più ostile nei confronti di un’Europa che non se ne fa carico. Sorprende come i capi di Stato e di governo non sappiano nemmeno rievocare le ragioni esistenziali per cui, a partire dal 1957, l’Europa è nata. Dopo Helmut Kohl, che ha continuato a ricordare, instancabile, la necessità di salvaguardare la pace tra i popoli europei, più niente.

Dopo la Brexit c’è la rincorsa ad uscire. Sotto la spinta dei movimenti populisti di tutta Europa, che hanno buon gioco, accomunati anche dalla crisi dell’Euro. Finora l’Europa si è identificata con l’economicismo: “Facciamo l’Europa, poi faremo gli europei”. Ma il pragmatismo, “se non indica fini lontani, non educa le volontà, non stringe menti e cuori in un disegno storico”, non basta più (N. Irti).

Dopo il ’57, l’Europa non ha saputo darsi un’anima, un’identità visibile, persa com’è nei suoi vincolismi di carattere economico. Ma, per essere amati dalle nuove generazioni, non basta scrivere nel Trattato di Lisbona che l’Europa s’ispira alle sue “eredità culturali, religiose e umanistiche”, o che rigetta le “dolorose esperienze” del passato (fascismi, nazismi e comunismi). Pluralismo, laicità, tutela della dignità umana, spirito di tolleranza, sono i valori dei popoli europei ma, da soli, non “legano”.

La Turchia di Erdogan, pur se associata all’Unione europea e alla Nato, sta letteralmente epurando tutti gli oppositori più vicini all’Occidente (giudici, professori universitari, giornalisti). In Russia gli avversari politici vengono annientati da una magistratura compiacente. L’Europa è assediata dall’intera popolazione africana che fugge dalla miseria e dalla penetrazione islamica. Di fronte a questo scenario serve più Europa, non meno Europa. Del resto, l’Islam profetizza la sua espansione globale, anche attraverso la teologia della guerra, tramite cui immagina di costruire la Umma universale, che non è soltanto la comunità dei fedeli. Di fronte alla forza di questi competitori, politici e teologici, l’Europa non può contrapporre semplicemente la laicità dello Stato, la tolleranza nei confronti delle diversità, il metodo della democrazia. L’Europa ha il dovere di mettere in guardia che il rischio della perdita della pace e la difesa dei propri confini restano i valori primari su cui si fonda.

Gli Stati Uniti d’America hanno trovato la propria unità nel patriottismo della Costituzione. È necessario che l’Europa riscopra alcuni principi basilari, andando oltre Dublino, e dettando una disciplina comune capace di concertare, per lo meno, la gestione del fenomeno dell’immigrazione. Si tratta di un passaggio vitale. Non facile. Anche negli Stati Uniti il riconoscimento della competenza federale sul fenomeno migratorio ha impiegato più di cento anni prima di affermarsi. Se si vuole uscire dall’attuale condizione di precarietà, si deve riconoscere però che l’avvio di una politica comune europea sull’immigrazione non è più rinviabile. Qui l’Unione si gioca tutto, perché investe sulla possibilità di rendere percepibile la sua identità o di scomparire.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:03