Dall’Orto al capolinea: 8 giugno sciopero in Rai

Bocciato il “rivoluzionario” (a parole) Antonio Campo dall’Orto. Ma prima in Rai era stato bocciato l’altro direttore generale Luigi Gubitosi e il piano delle news del direttore chiamato dall’esterno, Carlo Verdelli, che poi si è dimesso.

È veramente la guerra interna al vertice di viale Mazzini che blocca l’azienda? Ci sono certo contrasti tra la presidente Monica Maggioni e il capo della struttura voluto a suo tempo dal premier Matteo Renzi. Come il Consiglio di amministrazione ha posizioni e orientamenti diversi al suo interno. Il problema non è, però, questo. Anche alla Bbc, sempre portata come esempio di indipendenza, autonomia e professionalità, i vertici vengono scelti dal partito di maggioranza al governo (in questo caso i conservatori di Theresa May) lasciando all’opposizione la scelta del vicepresidente e di un certo numero di consiglieri.

Il discorso Rai affonda nella sua struttura organizzativa. Si sono moltiplicati i canali, si è allargata la sfera delle trasmissioni, sono stati assunti un centinaio di giornalisti a tempo determinato di 3 anni ai quali sono affidati anche compiti delicati di desk e da inviati, sono stati incentivati a lasciare l’azienda centinaia di dipendenti, concedendo scivoli appetibili dal punto di vista economico e della pensione.

Eppure l’azienda ha ricevuto una ragguardevole iniezione di soldi fresche con il prelievo del canone attraverso le bollette elettriche. Sono stati scoperti 5,5 milioni di possessori di televisori i cui proprietari non pagavano l’imposta. Nel 2015 erano 16,5 milioni a pagare 113,5 euro si è passati a circa 22 milioni, in modo tale che il gettito è salito da 1,7 miliardi di euro a 2,1. Il secondo fatto è il rinnovo della convenzione con lo Stato.

Con questi due elementi la Rai avrebbe dovuto percorrere una strada pianeggiante, piena di iniziative, di programmi. Di tornare al centro del mondo dell’informazione e della cultura del Paese. La situazione invece si è complicata per le continue polemiche scatenate da trasmissioni non in linea con il servizio pubblico, si è registrata una pioggia di collaboratori esterni, ben 244 contratti con persone che non avevano mai lavorato per la Rai o fatto solo marginalmente provocando così un forte contrasto tra Presidenza e direzione generale proponente. La giustificazione di Campo Dall’Orto è stata quella di dover acquisire professionalità per aumentare l’offerta editoriale anche nel digitale. Affermazioni azzardate e non suffragate dalle necessità. Su 11mila 303 dipendenti in organico, molti dei quali anche con retribuzioni elevate, le possibilità di trovare figure da valorizzare ce ne sono a sufficienza.

Il problema è che si vuole fare altro: ha suscitato perplessità la scelta di Rai1 e Tg1 di affidare la serata “Falcone-Borsellino” a 25 anni dagli attentati di Capaci e di via D’Amelio ai collaboratori esterni Fabio Fazio (“Che tempo che fa” ma in procinto di passare a La7), Pif e Roberto Saviano. Una serata che se non si voleva affidare a Bruno Vespa poteva essere con altrettanta professionalità condotta dai giornalisti del principale telegiornale italiano con il contributo della sede Rai di Palermo, che ha sfornato tanti giornalisti di prestigio, da Orlando Scarlata a Nino Rizzo Nervo.

Con la gestione Campo Dall’Orto si sono sentiti messi da una parte 277 dirigenti, 297 giornalisti con il grado di dirigenti tra cui Andrea Vianello che rimosso dalla direzione della Terza Rete è praticamente scomparso dalla scena, pur percependo una cifra superiore a quel famoso tetto di 240mila euro lordi l’anno che verrà superato per i contratti delle star e di alcuni conduttori. Le conseguenze, a parte il destino del direttore generale/amministratore delegato, è lo sciopero dell’8 giugno proclamato da Slc Cgil, Uilcom, Ugl informazione, Snater, Libersind, ConfSal e Usigrai. Un giorno di astensione dal lavoro con questa significativa motivazione “nessun progetto di riforma, nessun piano editoriale, nessuna visione del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale”.

In pratica bocciano due anni di mandato e aggiungono che non c’è alcuna azione di valorizzazione di Rai Way e denunciano “i soldi sperperati in dirigenti assunti dall’esterno, il numero abnorme di prime utilizzazioni di personale, l’elevato numero di produzioni affidate ad appalti e società esterne e le difficoltà della presenza Rai sul territorio a causa della scarsità degli investimenti nei mezzi di ripresa e montaggio”.

Le ultime vicende, al di là delle polemiche o strumentalizzazioni politiche, indicano che la Rai andrebbe profondamente riconsiderata a partire dalla sua vecchia struttura tripartita che corrispondeva ai tempi in cui anche nella società dominavano gli orientamenti cattolici, comunisti e socialisti.

Aggiornato il 26 maggio 2017 alle ore 12:32