Edgar Morin e la teoria della crisi

La prefazione di questo saggio di Edgar Morin “Per una teoria della crisi” (Armando 2017, pp. 96, 12 euro - pubblicato la prima volta nel 1976) consiste in un intervista all’autore, il quale coniuga la crisi (intesa in senso moderno) con la situazione di incertezza; e così all’eccezione (anomalia) e alla possibilità di cambiamento che la crisi provoca: “Nei sistemi viventi, specialmente in quelli umani e sociali, l’anomalia provocata dalla crisi può permettere una nuova organizzazione, eventualmente migliore, perché in grado di rispondere alle cause che l’hanno prodotta. Una crisi porta dunque con sé potenzialità negative di regressione e di distruzione, e potenzialità positive che, grazie all’immaginazione creatrice, consentono di trovare nuove soluzioni”. Una crisi “è l’aumento del disordine e dell’incertezza all’interno di un sistema (individuale o collettivo)” ma “In origine, Krisis significa “decisione”: è il momento decisivo, nell’evoluzione di un processo incerto, che permette di formulare una diagnosi. Oggi crisi significa “indecisione”. È il momento in cui, insieme a una perturbazione, sorgono le incertezze”. E “per concepire la crisi, andare oltre l’idea di perturbazione, di messa alla prova, di rottura d’equilibrio, bisogna concepire la società come un sistema capace di attraversare delle crisi, cioè porre tre ordini di principio, il primo sistemico, il secondo cibernetico, il terzo neghentropico, senza i quali la teoria della società è insufficiente e la nozione di crisi inconcepibile”.

Per capire la crisi occorre partire dal concetto di sistema; questo è “l’insieme organizzato dall’interrelazione dei suoi componenti”, e deve fare necessariamente appello all’idea di antagonismo e citando Lupasco «Affinché un sistema possa formarsi ed esistere, bisogna che i costituenti di ogni insieme, per loro natura o in virtù delle leggi che li regolano, siano suscettibili di avvicinarsi e nello stesso tempo di escludersi, di attirarsi e di respingersi, di associarsi e di dissociarsi, di integrarsi e di disintegrarsi». Quindi complementarietà ed antagonismo tra questi sono necessari all’esistenza del sistema.

Non è eliminando l’antagonismo che il sistema si regola (o è regolabile, perché eliminarlo è impossibile (significherebbe mummificarlo), ma suscitando retroazioni all’antagonismo “C’è dunque un legame ambivalente, a livello cibernetico, tra complementarità e antagonismo. Questo legame è di natura organizzativa. La complementarità ha un ruolo antagonista all’antagonismo e l’antagonismo ha un ruolo complementare alla complementarità. La regolazione, il controllo si oppongono agli antagonismi virtuali che, in tali sistemi, tentano di attualizzarsi senza sosta. Così l’antagonismo non porta con sé solo la dislocazione del sistema, può contribuire alla sua stabilità e alla sua regolarità”; e “Non è possibile concepire un’organizzazione senza antagonismo, benché questo antagonismo porti con sé, potenzialmente, e prima o poi inevitabilmente, la rovina e la disintegrazione del sistema”. Ciò significa che ogni sistema è condannato a perire. L’unico modo “per lottare contro la disintegrazione è:

  • integrare e utilizzare il più possibile gli antagonismi in modo organizzativo;
  • rinnovare energia e organizzazione attingendole dall’ambiente (sistema aperto);
  • poter autoriprodursi in modo che il tasso di riproduzione sia superiore a quello di degradazione;
  • essere capace di riorganizzarsi e difendersi in modo autonomo”. Così l’antagonismo può divenire disorganizzazione “ma, anche disorganizzativo, può costituire la condizione di possibili riorganizzazioni trasformatrici.

Il principio sistemico dell’antagonismo è tanto più attivo, perturbatore, quando si eleva a livello della complessità dei sistemi viventi. Non è più solamente rigido, statico, è legato alla dinamica delle interazioni/retroazioni interne ed esterne. Più la complessità vivente è ricca, più la relazione antagonismo/complementarità è mobile e instabile, e provoca fenomeni di crisi”.

Il concetto di crisi è costituito, scrive Morin, da una costellazione di concetti interrelati: perturbazione (la più importante è quella originata da processi interni); aumento dei disordini e delle incertezze, blocco/sblocco dei dispositivi di retroazione e di trasformazione delle complessità e degli antagonismi.

Così la crisi mette in moto percorsi caotici. E l’azione ne esce da un lato soffocata ma dall’altro stimolata “In una situazione normale, la preponderanza dei determinismi e delle regolarità permette l’azione all’interno di un margine molto stretto, e solo nel senso di questi determinismi e di queste regolarità. Al contrario, la crisi crea nuove condizioni per l’azione”. Per quanto riguarda la società apporta cambiamenti “Il carattere incerto e il carattere ambiguo della crisi rendono il suo esito imprevedibile. Scatenando forze di disintegrazione ma anche di rigenerazione (di “morte” e di “vita”), mettendo in opera processi tanto “sani” (la ricerca, la strategia, l’invenzione) quanto “patologici” (il mito, la magia, il rito), risvegliando e al tempo stesso addormentando le coscienze, la crisi può avere un esito regressivo o progressivo”; “Qui si rivela il doppio volto della crisi: rischio e opportunità, rischio di regressione, opportunità di progressione. Perché la crisi mette in opera, in un rapporto necessariamente reciproco, disorganizzazione e riorganizzazione; ogni grado maggiore di disorganizzazione porta con sé di fatto il rischio di morte, ma anche l’opportunità per una nuova riorganizzazione, per una creazione, per un superamento”.

Il (piccolo) saggio è pieno di idee; sarebbe lungo ricordarne i presupposti e “gli antenati” (da Marx a Freund, da Hauriou a Bergson). Tuttavia è importante enuclearne i messaggi principali. In primo luogo che la vita di un “sistema” e quindi anche di un sistema sociale, è fatto di momenti di stabilità/continuità, come di crisi/cambiamento. Secondariamente eliminare, o meglio credere di eliminare i secondi è da un lato illusorio, dall’altro annullare la dinamica sociale significa condannare la comunità ad un’esistenza statica cioè a decomporsi e a scomparire. Terzo che di solito a ogni fase di decadenza ne segue una di rinascita nel cambiamento (la crisi non è il male, tantomeno assoluto). Tutte cose che il pensiero dominante tende o a nascondere o almeno a trascurare.

Aggiornato il 15 giugno 2017 alle ore 09:53