Il Festival delle facce di bronzo

Altro che Sanremo, altro che Napoli, altro che “Due Mondi”, altro che canzoni, film, commedie e loro festival, perché è di festival che vogliamo parlare. Quello più autenticamente nello spirito del termine, che è poi riconducibile alla nostra festa, è andato in onda lontano dai luoghi un dì prescelti, lontano soprattutto dal mare e assolutamente adagiato sulle acque tranquille del lago, quello di Como, località Cernobbio. L’organizzazione è stata come al solito impeccabile, e vorrei ben vedere con l’Ambrosetti di mezzo e, soprattutto, i poteri forti, almeno quelli veri anche se forse gli ultimi rimasti.

Certo, il summit di Cernobbio 2017 non è stato una novità come i primi e probabilmente non poteva che ricapitolare, con la loro indubbia preparazione economica (e pure politica, benché il termine sia da loro sempre allontanato), i grandi temi del nostro tempo, della nostra Italia, della (nostra) Europa, ma non solo. Eppure la novità c’è stata, eccome, e nessuno ci può far togliere dalla testa il sospetto, che sta ci sta frullando ora nella nostra - e nella loro doveva essere una peraltro non difficile previsione; un pensierino un tantinello cattivo, e cioè che il clou, l’ospite, meglio i due ospiti d’onore politici dovevano loro stessi rappresentare il momento più alto, topico, più divertente e diciamolo pure più spettacolare dell’intera festa, con un angolino speciale dedicato al festival più alla moda in questa Seconda Repubblica: quello delle facce di bronzo.

Il salotto di Cernobbio era (ed è) per i politici invitati, un luogo, un sito, un passaggio comunque obbligato e al tempo stesso ambito, tanto più per quei rappresentanti di (ex)partiti indicati come massimalisti, radicali e antisistema in un quadro generale sostanzialmente “moderato”. Parlare a banchieri, general manager, presidenti e direttori di grandi gruppi, rappresentanti di analoghi poteri in Europa compreso il suo cotée politico che conta, è sempre l’invito ad accedere all’ascolto di un salotto esclusivo, diventare coprotagonisti in una vetrina fra le più “in”. Purché, ovviamente, ciascuno reciti la propria parte, quella vera; quella che, per esempio, i politici di opposizione espongono nelle elezioni coi loro programmi e poi nei parlamenti dove sono stati eletti grazie appunto a questi programmi.

Ora, alzi la mano fra di voi chi è riuscito a scovare qualcosa di vero, di sincero, di rispettoso dei propri programmi, oltre, beninteso, dei propri elettori, nei due baldi giovani leader, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, in onda domenica scorsa sul canale di Cernobbio e poi dilaganti su articolesse, Tg e talk-show. Hanno scambiato la discreta località lacustre e la prestigiosa organizzazione ospitante per l’occasione attesa non tanto o soltanto per mettersi in mostra, ma soprattutto per rappresentare, insieme al classico bacio della pantofola, uno spot speciale, un entracte a suo modo singolare, recitato bene perché preparato a lungo ma appunto per questo esattamente ribaltato rispetto ai loro programmi, ai progetti offerti al “loro” popolo, alle prese di posizione e alle dichiarazioni roboanti e urlate, a cominciare dall’indimenticabilmente programmatico “vaffa” del Grillo all’arrembaggio di Casta, Europa, Euro, Gruppo Bilderberg, poteri forti, banche e banchieri. E dove lo mettiamo il leghismo di lotta, sempre all’Euro, all’Europa con fortissime dosi di quel sovranismo che è a sua volta il rovescio esatto del separatismo-autonomismo della Lega bossiana?

Davanti alla platea di un potere forte non meno che autentico, i nostri due eroi potevano, anzi dovevano approfittarne per illustrare ciò per cui sono stati eletti, spiegare in che cosa consiste l’alternativa che da anni urlano nelle piazze, e come vorranno gestirla nel caso di vittoria elettorale. Nulla di tutto questo anzi; e di certo Di Maio in abito scuro già governativo è stato il più audacemente spudorato nell’inginocchiatoio più propedeutico per ottenere la patente governativa, per mostrare la più convinta moderazione, per propagandare il M5S e se stesso il più possibile uniti e compatti, ma non all’interno dove cominciano i guai per Di Maio, ma con la platea in benevolo ascolto. Benevolo, ma non distratto e (c’è da giurarci) non molto convinto. Non c’è spot che tenga, specialmente se si nega l’evidenza di sé, respingendo “estremismo, antieuropeismo e populismo” che non ci appartiene (hanno spergiurato entrambi), buttando a mare programmi e mostrando, con una incorreggibile faccia di bronzo, l’assenza sia di idee e di progetti degni di questo nome, soprattutto, di consapevolezza del luogo e di chi li ascoltava. Figuriamoci poi dopo una terrificante battutina dell’Italia “smart” del programma dimaiano. Alla prossima.

Aggiornato il 04 settembre 2017 alle ore 19:12