Non se ne è voluto parlare

Si dovrebbe dire che, una volta tanto, quelli del Partito dei Magistrati abbiano ragione.

Tutta la banda dell’estremismo togato borbotta incazzato che non si è parlato, durante la campagna elettorale, della mafia. Non hanno ancora avanzato l’ipotesi che ciò comporti la nullità. Non mi meraviglierei che da questa parte qualcuno tirasse fuori qualcosa di simile. È vero. Ma se quella gente non fosse affetta da un’incorreggibile supponenza e non si ritenesse depositaria di un potere semidivino al di sopra della politica, della storia e della realtà, essa dovrebbe ringraziare Dio e le colpe degli uomini se non si è parlato di mafia, di loro, delle loro pretese e delle loro farneticazioni, dell’Antimafia. Che incombe sulle sorti del Paese così poco cosciente del problema delle sua libertà.

L’ho già scritto e l’ho ripetuto, al punto da risultare petulante e patetico. Queste elezioni hanno lasciato a metà, senza conclusione e fuori del giuoco importanti, essenziali questioni che si stavano affacciando, movimenti che andavano prendendo corpo. Se i signori magistrati dell’ala eversiva del loro partito guardassero meglio dentro le cose di cui con tanta petulanza martellano stampa e opinione pubblica, avrebbero dovuto prendere atto che non si è parlato di mafia perché nessuno ha avuto la forza e la chiarezza di idee da parlare dell’Antimafia e del problema che essa costituisce per la sopravvivenza delle istituzioni libere e democratiche in Italia.

E in effetti a evitare di scatenare l’attenzione della pubblica opinione in quella direzione sono stati i loro stessi esponenti. Il Movimento 5 Stelle che, piaccia o non piaccia, è uscito vincitore, tradizionale tifoseria organizzata dei più sbracati e forcaioli magistrati, ha incluso l’evitare di parlare di campi di sterminio per tutti gli indiziati di essere corrotti, corruttori e corruttibili ponendo l’argomento da parte per darsi una verniciatina meno trogloditica.

Di Matteo, da quel che risulta dalle prese di posizione dei suoi fan, è rimasto male perché Luigi Di Maio non lo ha incluso nella lista dei ministri del suo vagheggiato governo. Per quanto strumentale e fasulla, questa virata perbenista dell’ultimo momento è pure qualcosa. Non credo che corsi di scuole serali per i parlamentari del partito populista potrebbero rimediare alla sciagura che essi rappresentano. Ma non deve mai negarsi il valore di una qualche flebile luce della ragione che illumini chicchessia. Non so se questa legislatura vedrà la prosecuzione della devastazione di quanto rimane dell’ordinamento della nostra civiltà giuridica sotto la spinta dei grillini. Ma, intanto, il solo fatto che l’eversione togata abbia ottenuto una proroga della distrazione di quel che resta della classe politica non è certo cosa da far stare allegri. La lotta all’eversione giudiziaria, difficile e faticosa, potrà, in un domani che auguro a chi mi legge di vedere, costituire il nucleo di un nuovo liberalismo, di una nuova stagione della ragione. Avrei voluto vederne almeno i sintomi, i prodromi di tutto ciò. Non ne ho perso la speranza. Per chi resterà.

Aggiornato il 07 marzo 2018 alle ore 08:17