L’italiano “vota strano” e ha un governo baggiano

I giornali riferiscono, non so quanto fedelmente, delle “spaccature” all’interno delle “basi” e degli elettorati cinquestelluti, Pd e non so se altri di fronte alle ipotesi, di volta in volta presentatesi come probabili, di governi combinati dai loro movimenti con l’una o con l’altra delle forze presenti in Parlamento. Tale fenomeno non è strano, né rappresenta in sé una caratteristica deteriore del nostro sistema e della cultura politica del nostro popolo. Da una parte è la diretta e naturale conseguenza di una tripartizione, anziché di una bipartizione, dell’elettorato e del corpo parlamentare. Dall’altra esso è conseguenza della complicata e per più versi casuale ed assai poco razionale divisione della pubblica opinione politica e delle ragioni del voto.

Ma credo che il dato di fondo sia rappresentato dal fatto che una parte considerevole dell’elettorato e più o meno la totalità di esso per certi aspetti ed entro certi limiti, si esprima, al momento delle elezioni del Parlamento, con un voto “devozionale” (mi torna sempre facile l’uso della splendida definizione dell’antimafia da parte di Guido Vitiello).

Ciò era più forte e rilevante all’epoca dei “partiti” ideologici tradizionali della Prima Repubblica. Ma con alcune sensibili variazioni di fondo è vera anche ora. Solo che ora potremmo alla “devozionalità” del voto sostituire l’abitudine, la rabbia, le antipatie e le accettate demonizzazioni degli altri. Questi moventi non si riproducono tali e quali per ciò che riguarda la formazione dei governi. In primo luogo perché a formare i governi debbono provvedere altri, in secondo luogo perché “governo”, sia pure erroneamente, è considerata istituzione più “concreta” e, quindi assai diversamente carica di responsabilità che non il Parlamento. Ricordo che nel giorno delle elezioni che videro la prima grande “uscita” del Movimento di Grillo, mi accadde di prendere un taxi. Il tassista mi apparve subito, anche se per le solite battute sul tempo e sul traffico, loquace e voglioso di parlare delle elezioni. Mi disse le solite maledizioni per “il gran casino”, per il fatto che “non si sa più a quale santo ariccomannasse”. Gli chiesi se potevo conoscere per chi avesse votato. Mi rispose “pe’ quelli de Grillo”. Con molta circospezione gli chiesi se avremmo potuto sperare che “con quelli lì”, con l’“ariccomannasse” a quel... nuovo santo riteneva ci fosse da sperare che “quel casino” avesse termine, o, almeno, si placasse un po’.

Mi rispose “ma che vo’ scherzà?? Chi...? Quelli?!. Gli chiesi allora se avessi capito bene che proprio per “quelli” aveva votato. Non mi fece nemmeno finire la frase “e mica se voteno perché so’ meio, e che  avessino da governà loro! E tanto pe’ mannà a fa in culo quell’antri....

Caso limite? Non credo. Né credo che siano pochi, anche al di fuori del fenomeno Cinque Stelle i “voti di stizza” (come si diceva una volta dei conti alle innamorate bizzose o traditrici). Del resto questo è un fenomeno che ha radici anche nella religiosità (se religiosità è) popolare. Le folle dei devoti di San Gennaro che proferivano blasfeme ingiurie al Santo per il ritardo nel miracolo dell’ebollizione del sangue non è cosa da trascurarsi anche quando si parla di politica. C’è poi la fragilità evanescente della struttura dei partiti con la mancanza di una qualche parvenza di rappresentatività delle opinioni e della tendenza della base da parte di sempre più ristretti gruppi dirigenti.

E c’è il voto clientelare, che non è solo quello di cui si vale il notabilato meridionale. Il “sottogoverno” non ha avuto e non ha netti limiti regionali e non dipende solo dalla “provincialità” o meno dell’elettorato. C’è infatti una quantità di clientele cittadine. Sono queste sedimentazioni a rendere l’elettorato meno mobile e, al contempo meno coerente con gli indirizzi e le scelte di governo dei partiti cui esso fanno capo. Queste considerazioni sembrano essere smentite dalla rapidità con la quale avvenne la “rivoluzione giudiziaria” di “Mani Pulite”. Ma, al contrario, è il carattere essenzialmente golpista di quella operazione, il fatto che colpì, con maggiore oculatezza strategica di quanto si sia soliti riconoscere, proprio gli snodi tra governo e sottogoverno, facendo salvo, non a caso, tutto il sistema economico clientelare del Partito Comunista, ciò conferma, semmai, le nostre considerazioni.

Oggi si va delineando (scrivo mentre è in corso l’“esplorazione” di Roberto Fico) un accostamento tra Partito Democratico e M5S. Al di là delle incompatibilità retoriche e delle reciproche “condanne” e demonizzazioni, quelle due entità hanno in comune assai più di quanto non appaia. Sono ambedue espressione di ciò che, sia pure su piani diversi, il golpe del 1992-’94 con la “coda ventennale antiberlusconiana” ha lasciato dietro e fuori di sé. La sedimentazione, l’immondizia di una Sinistra arroccata con la retorica bolsa dell’ideologia sul sottogoverno e su una falsa e ridicola supremazia pseudoculturale, fatta di demonizzazioni e di “canonizzazioni” del “politicamente corretto” (paradossalmente passato oggi sotto l’egida dell’antipolitica).

È quindi probabile perché “naturale” che il Movimento di Grillo trovi l’accordo con il Partito Democratico. Sarà, ad un tempo, la certificazione della morte ed il vilipendio del cadavere della Sinistra. Non è di questo che al punto in cui siamo e con quello che la Sinistra ha dato negli altri anni ed è oggi, che avremo di che dolerci.

Malgrado tutto nella società o nello Stato, nella nostra stessa identità nazionale ed in ciò che essa ci garantisce in Europa e nel Mondo, c’è ancora da poter fare molti danni, catastrofi spaventose. Prendere atto di ciò non è rassegnazione. Se solo altre forze, altri ideali, altre posizioni politiche mostrassero di volersi impegnare per qualcosa di diverso da quello che è stato il torbido brodo di cultura di questo fenomeno che oggi sembra vincente, potremo avere, assai più di quanto noi stessi ora immaginiamo, la possibilità ed il dovere di sperare.

Aggiornato il 26 aprile 2018 alle ore 20:07