I neo giacobini e gli avvocati del popolo

Nella loro crassa ignoranza i gialli pentastellati (e purtroppo anche gli sparring partners, i verdi  leghisti), forse imbeccati con input dalla casa madre Casaleggio e associati, stanno cercando di imporre all’Italia il modello giacobino, anzi neo tale, tanto caro all’attuale direttore del Il Fatto quotidiano, che però è scusato avendoci costruito sopra un piccolo impero economico. E notoriamente “pecunia non olet” anche se pecunia di forca trattasi.

Il neo premier scelto con il curriculum (e che curriculum!) per fare il premier portavoce, ha citato l’espressione “avvocato del popolo”. Che notoriamente ai bei tempi del Termidoro era l’appellativo di Robespierre. Uno che di teste ne aveva fatte tagliare tante prima che inevitabilmente cadesse anche la sua. E questa è sempre la segreta speranza di tutti noi quando ci vediamo sommersi e non difesi da cose intollerabili come quelle espresse ieri dal padre di Alessandro Di Battista (che nel curriculum ha solo una vecchia militanza nell’Msi) che nientemeno prometteva a Mattarella l’assalto al Quirinale sulla falsariga di quello al carcere della Bastiglia.

Mentre forse la vera “presa” che dovrebbe fare è quella della pastiglia, per calmarsi e dormire più tranquillamente la notte. Ma la citazione neo giacobina dell’avvocato del popolo fatta da questo Conte per descriversi arriva seconda dopo quella tanto cara a Di Maio de “l’amico del popolo” con cui lo ha presentato ancora prima che se ne conoscessero nome e curriculum.

E nella breve ma intensa storia del terrore giacobino “l’ami du peuple” era allo stesso momento il soprannome dato a Marat e quello del giornale da lui diretto. Giornale che, un po’ come avviene su altri organi di stampa italiani ai giorni nostri, ogni giorno erano indicate le teste da tagliare. In maniera letterale come accadeva a quei tempi. O parzialmente metaforica, magari mediante l’apposizione di un bel paio di manette a chi è sgradito, come spesso avviene oggi.

La cifra di questo neo giacobinismo è contenuta in quella famigerata pagina 23 del cosiddetto contratto del sedicente “governo di cambiamento”. Non è solo più galera per tutti, ma anche l’idolatria di questa lotta alla corruzione che si vorrebbe equiparare, anche nei metodi per contrastarla, a quella ben più importante che si fa tuttora alla criminalità organizzata.

La corruzione, come la prostituzione, il gioco d’azzardo, la droga e i vizi vari, sono qualcosa di difficilmente eliminabile dalla società occidentale e dal suo modello capitalistico. Anche creando quello “stato etico” di cui si riempiva la bocca ieri, forse senza neanche sapere di cosa stesse parlando, il mitico Toninelli, il capogruppo al Senato dei grillini.

Ma la corruzione come accusa è anche quell’espediente che viene usato dai regimi autoritari in mezzo mondo, dal Venezuela di Maduro alla Turchia di Erdogan passando per la stessa Russia di Putin, per dare colpi mortali agli avversari politici.

Tanto qualche magistrato burocrate che poi avalla l’accusa e tutta la manovra che sottende si trova sempre. E anche in Italia dal 1992 a oggi abbiamo avuto tantissimi tragici esempi.

Aggiornato il 24 maggio 2018 alle ore 14:09