Salvini apre la stagione della finanziaria senza Conte e Di Maio

Matteo Salvini non ha gestito bene la brutta storia del presunto finanziamento illecito al suo partito da petrolieri russi. Invece, ha assestato un colpo magistrale agli alleati di Governo dimostrando urbi et orbi chi deciderà la prossima manovra finanziaria giallo-blu.

La convocazione del tavolo con le parti sociali al Viminale, in aperta violazione del bon ton istituzionale, ha rappresentato un segnale fortissimo all’opinione pubblica, ai mercati finanziari e alle istituzioni europee su chi detenga in concreto lo scettro del comando in Italia. Le reazioni irate del premier Giuseppe Conte e del capo grillino Luigi Di Maio hanno dato corpo alle percezioni avvertite circa il reale ruolo di Salvini nella vita del Governo. All’appello del ministro dell’Interno hanno risposto ben 43 sigle sindacali e di associazioni di categoria. Ciò che conta, però, che al Viminale si sono presentati i rappresentanti delle formazioni più importanti, a cominciare da Confindustria e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Di Maio per un momento ha sperato nel boicottaggio dell’iniziativa da parte dei convocati. Ma la sua è stata solo un’infantile illusione. Nessuno più dei rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori sa riconoscere chi ha potere contrattuale e chi non lo ha. Se sono corsi in massa al Viminale significa che per loro Salvini resta un interlocutore fondamentale. E il leader leghista non li ha delusi. Si è posto in ascolto delle loro istanze e ha illustrato i capisaldi di quella che si preannuncia la legge di Bilancio targata Lega. Il pezzo forte dell’offerta si focalizza sul varo di una sorta di Flat Tax con aliquota fissa al 15 per cento per i redditi familiari fino a 55mila euro. In base alle stime fornite dai leghisti presenti all’incontro, e tra loro Armando Siri reietto agli occhi dei grillini per la vicenda giudiziaria nella quale risulta coinvolto, i benefici riguarderanno 20 milioni di famiglie per un totale di 40 milioni di italiani. A chi ha espresso il timore per l’eccessivo costo di una manovra fiscale choc è stato spiegato che, in effetti, si tratta di una partita di giro giacché l’applicazione della tassa ridotta assorbirà tutte le detrazioni oggi ammesse dallo Stato.

Con la Flat tax all’italiana certamente sparirà il bonus da 80 euro introdotto dal Governo Renzi. Inoltre, è prevista una seconda edizione della Pace fiscale, destinata alle imprese. Poi il chiodo fisso della sburocratizzazione da perseguire per aiutare la ripresa economica e il varo di misure popolari per facilitare la vita dei meno abbienti come, ad esempio, l’azzeramento delle commissioni per i pagamenti Pos sotto i 25 euro. Non si rinuncia neppure al progetto di far emergere, attraverso uno specifico provvedimento di clemenza fiscale, il contante depositato nelle cassette di sicurezza e stimato in una massa di circa 150 miliardi di euro. Ma perché Salvini ha voluto l’incontro con le parti sociali fuori del protocollo istituzionale? Che si sia trattato di un dispetto al partner di Governo è lettura semplicistica e lacunosa. Una spiegazione è che il leader leghista voglia dettare i tempi (brevi) dell’iter di approvazione della manovra ai suoi soci di Governo per dare un segnale di stabilità ai mercati prima del cambio della guardia, in autunno, alla Commissione europea a Bruxelles. In realtà, la preoccupazione del “Capitano” alla viglia di una manovra che si annuncia storica è di assicurarsi il sostegno e, se possibile, la condivisione delle parti sociali. Il leader leghista è perfettamente consapevole del fatto che anche la migliore delle riforme proposte non è apprezzata se non è sostenuta da un atteggiamento favorevole dei corpi intermedi. Quindi, alla malora le forme e occhio alla sostanza!

Ora, sarà anche proficuo il modus agendi di Salvini, tuttavia esso rappresenta l’ennesimo colpo di piccone all’impianto liberale dell’edificio statuale. Da Benedetto Croce in poi anche l’ultimo consigliere di uno sperduto municipio d’Italia ha appreso la massima aurea per la quale la forma è sostanza. D’ora in avanti quell’ultimo incolpevole amministratore locale imparerà sulla sua pelle che la sostanza non ha bisogno di una forma preconfezionata e rigida per affermarsi. D’ora in poi, il risultato neutralizzerà ogni considerazione sul metodo e sui mezzi impiegati per il raggiungimento dello scopo. Il cambio di registro nell’approccio liberale all’amministrazione della cosa pubblica sarebbe un eccellente argomento critico da indagare in un confronto aperto con la Lega. Purtroppo il condizionale è d’obbligo in un Paese, l’Italia, soffocato dalle inutili manovre mediatico-giudiziarie dei “politicamente corretti” per colpire il nemico che non piace. Si perde tempo su questioni che non stanno in piedi come i fantomatici fiumi di rubli versati alla Lega e non si spende una parola, o una riga, sulla modifica sostanziale della natura liberale della nostra democrazia. Come dire, ci si affanna a cercare il pelo e si ignora la trave che penzola sulla testa di ognuno di noi. Intendiamoci, nessuno di buon senso può pronosticare un Salvini autoritario, desideroso di abrogare la libertà.

Tuttavia, una Lega lasciata sola a pensare un futuro nel quale si renda necessaria una messa a punto dell’idea liberale applicata alle dinamiche sociali rischia di partorire idee pericolose. D’altro canto, il decisionismo come categoria della politica ha dovuto fare i conti con il fattore equilibrante della mediazione, che non è sinonimo di condivisione. Perché la forma democratica sia al sicuro è indispensabile che i due concetti convivano. L’uno senza l’altro è destinato a generare mostri. La decisione che non scaturisca da un processo di mediazione è il prodromo di un’involuzione autoritaria. Viceversa, la mediazione che non generi la decisione condanna il processo democratico all’immobilismo. Bisogna che Salvini tenga nel giusto conto tali semplici regole per l’esercizio corretto della democrazia se vuole evitare di finire a comandare in un Paese illiberale. Nel caso specifico, ha inteso dare un segnale forte a Conte e a Di Maio? Sta bene. Però adesso che ha vinto la prova muscolare dell’incontro fuori copione con le parti sociali torni al tavolo del Governo e rimetta a posto lo spartito della grammatica istituzionale. Perché, sarà poco social ma la forma, per quanto possa apparire bizzarro nel mondo alla rovescia dei tweet e dei selfie, è ancora sostanza.

Aggiornato il 16 luglio 2019 alle ore 10:49