Terra di salvatori, tecnici e commissari

Eravamo la terra dei santi dei poeti e dei navigatori, siamo diventati la terra dei tecnici dei professori e soprattutto dei commissari. S’affaccia un problema, et voilà, la politica abdica. Si tratta di un fenomeno che, iniziato in sordina dopo Tangentopoli, è diventato negli anni una costante ad ogni passaggio difficile, una testimonianza dello scivolamento della politica nel disorientamento. Perché sia chiaro è alla politica che spetterebbe il primato della guida del Paese, della strategia, della rotta da seguire per il governo della società, dell’economia, per l’indirizzo generale della democrazia, altroché commissari. Per carità, nel tempo è stato prezioso il ruolo dei professori e da sempre premier, ministri e istituzioni si sono messi accanto i consiglieri. Però una volta c’era il sipario che divideva la ribalta tra il supporto e la scelta, l’incombenza e l’assistenza. In prima fila c’era l’esecutivo e basta.

Per farla breve, esistevano le quinte, nel retro gli esperti per studiare, davanti la politica per compendiare, governare in modo coerente rispetto alla delega avuta dalla gente. Ebbene, a partire da Tangentopoli si è iniziata quell’usanza di chiamare alla guida del Paese anziché un premier e una coalizione votati a maggioranza, tecnici, professori e salvatori vari sostenuti da gruppi e da partiti messi accanto per opportunismo e convenienza. Parliamo dei governi di salvezza nazionale, dei ribaltoni, di alleanze abborracciate, di legislature tirate avanti con scuse contingenti, tormentoni di tecnici, cattedratici. Tutto un mondo che in gran parte di politica sapeva poco, per non dire niente. Col risultato che da allora ad ora, complice l’ingresso in Europa con una trattativa scriteriata e soccombente, l’Italia ha perso tanta ricchezza, occupazione, posizioni e quote di mercato, alla faccia degli accademici e degli istitutori chiamati a salvarci, migliorarci e risollevarci. Negli ultimi nove anni poi non ne parliamo. Da quando l’ultimo governo eletto, quello di Silvio Berlusconi, disarcionato ad arte per mettere Mario Monti, è successo di tutto: cinque premier, cinque governi raffazzonati, guidati da tre presidenti mai votati di cui due professori, Mario Monti e Giuseppe Conte, con l’Italia finita in asfissia.

Come se non bastasse è iniziata una girandola di commissari, alla revisione della spesa, alle calamità, alle persone scomparse, ai beni sequestrati, all’infanzia, all’usura, alle banche fino ad arrivare a oggi e al virus, con la nomina di Domenico Arcuri e Vittorio Colao all’emergenza e alla ripartenza economica. Sull’emergenza sanitaria stendiamo un velo pietoso. Perché se non ci fosse stato l’impegno eccezionale dei medici, infermieri, volontari, forze dell’ordine e della Protezione civile chissà come sarebbe andata. Senza mascherine, guanti, ventilatori, strumenti di sicurezza per gli operatori a sufficienza. Su quella economica, invece, ci chiediamo che potrà fare una task force di commissari sparpagliati nel mondo, di manager abituati alle operazioni di Mergers and acquisitions planetarie piuttosto che alla vita di artigiani, Partite Iva, piccole imprese, commercianti e così via che rappresentano il polmone economico dell’Italia. E poi, scusate: ma il governo allora a cosa serve?

Sia chiaro: nulla di personale sulle qualità umane ed accademiche di tutti. Ma da noi serve un governo che decida, scelga, che abbia il coraggio d’intervenire subito con provvedimenti politici sulla fiscalità, sulla burocrazia, sulla spesa per investimenti, sostegni a fondo perduto, agevolazioni forti alla ripresa, sull’occupazione e sul modo di reperire le risorse necessarie da iniettare in quantità. Si tratta di decisioni che spettano solo alla politica e alla strategia di governo che s’intende seguire con l’Italia e con l’Europa, di fronte alla quale quella dei professori non può essere sostitutiva, perché sarebbe un’ammissione d’incapacità d’azione.

Ecco perché diciamo che dalla terra dei santi dei poeti e dei navigatori siamo passati a quella dei commissari e perché, ripetiamo, che questa maggioranza non è all’altezza, procede per tentativi, scelte confuse e insufficienti, infischiandosene dell’opposizione e dei suoi suggerimenti. Qui non si tratta di fare show, di andare in tivù per insolentire in modo impertinente Matteo Salvini e Giorgia Meloni, o di annunciare l’ennesima delega ai tecnici. Si tratta di visione, di progetto politico d’azione. Si tratta della necessità di una maggioranza in grado di indicare la linea di sostegno e ripartenza senza la quale non c’è via che superi e risolva l’emergenza. Per questo la politica in democrazia non dovrebbe mai aver paura di ascoltare il popolo, di votare. Perché la surroga del primato, dimostra come vediamo adesso, sia l’incapacità di fare e sia lo sbaglio di commissariare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aggiornato il 14 aprile 2020 alle ore 11:07