Opposizione al Dpcm: rischiare e soffrire per la libertà

Io credo che sia capitato a molti, parlando in quest’Aula di provare un senso di inutilità. Non mi riferisco alle presenze che dipendono dalle fluttuazioni, dagli orari, dalla calendarizzazione; mi riferisco al fatto che spesso, molto spesso, quasi sempre, la funzione essenziale del Parlamento viene in un certo senso non onorata perché poi i parlamentari votano sempre o quasi sempre secondo le indicazioni dei gruppi. Questo è vero un po’ in tutte le democrazie parlamentari, unica eccezione il Parlamento americano che, essendo quella una repubblica presidenziale – quindi non rischiando il parlamentare di far cadere il proprio Governo, anche se in coscienza è contrario a una legge – è il Parlamento probabilmente più libero del mondo. Tuttavia, questa sensazione di inutilità è sbagliata, perché se è vero, come è vero, che in realtà ci si ascolta, ma poi la votazione è sempre predeterminata, questo però ha degli effetti nel prosieguo, nel senso che, se uno illustra certe posizioni in maniera convincente, non in quell’occasione ma in occasioni successive, può darsi che il parlamentare della parte avversa – o delle parti avverse, in un mondo politico multipolare come il nostro – ne tenga poi conto, magari per posizionarsi su una posizione più difendibile, oppure perché i fatti lo obbligano a quella scelta, oppure magari perfino perché il suo convincimento muta.

Quindi, è importante – credo – spiegare esattamente perché le forze di opposizione, tutte e quattro, la Lega che io rappresento, Fratelli d’Italia, Forza Italia e i cattolici-democratici con Maurizio Lupi, hanno presentato questa mozione. Ne parlerò prima sul merito e poi sul metodo. Ci sono stati diversi errori nella gestione di questa crisi data dalla pandemia: errori di impreparazione e burocratizzazione che hanno ritardato gli approvvigionamenti (ma questo ci sta, perché è una cosa nuova); errori abbastanza gravi nell’insufficiente armonizzazione tra i criteri per il conteggio dei deceduti nei vari Paesi dell’Unione europea, almeno nell’Unione europea, per cui poi è molto difficile comparare la situazione dei vari Paesi; errori nell’eccessiva – a mio modo di vedere – penalizzazione dei luoghi aperti, perché i virus si trasmettono più facilmente in quelli chiusi, quindi avere penalizzato in maniera così totale i luoghi aperti non sembra una cosa di grande; errori nel volere delle risposte immediate dagli scienziati, dai ricercatori, dai medici, perché la scienza arriva alle conclusioni, ma ci arriva dopo una serie di ipotesi che vengono testate e vagliate. Il fatto di chiedere subito delle risposte per una cosa nuova era sbagliato intrinsecamente. Non solo, ma ha dato l’impressione che la scienza non fosse in grado di gestire il fenomeno: la scienza lo sarà, ma ha i suoi tempi, ma l’errore più grave è stato un altro. Una pandemia si caratterizza essenzialmente per quattro parametri: la sua diffusione, la sua contagiosità, la sua morbilità e la sua mortalità; se noi non conosciamo la sua diffusione, neanche con una stima approssimata ma di una certa validità, non siamo in grado di calcolare esattamente gli altri tre parametri.

Il fatto che si sia rifiutato di eseguire non dico uno screening di massa, probabilmente impossibile da fare su tutta la popolazione, per i costi, per gli approvvigionamenti, ma uno screening a campionatura per avere una stima dei contagiati sani, cioè non presentanti sintomi, fa sì che tutto quello che è stato deciso poi sia stato deciso su informazioni e dati non sufficientemente attendibili, assolutamente non sufficientemente attendibili. Noi non sappiamo un sacco di cose: non sappiamo se l’immunità raggiunta ha una lunga durata; non sappiamo se siamo vicini o lontani da un’immunità di comunità; non sappiamo se il virus si sta modificando; non sappiamo un sacco di cose. Le sapremo, ma non lo sappiamo ora. Sulla base di queste insufficienti notizie della reale natura di questa pandemia, sono state prese delle misure che variano molto da Paese a Paese, dall’Italia alla Svezia, passando per varie gradazioni e che variano anche da Paesi democratici e Paesi non democratici. Tuttavia, l’Italia si è mossa, tra i primi, tra i primissimi, sulla via della chiusura totale, molto più di quanto non abbiano fatto altri Paesi. Ci sono Paesi che hanno seguito più o meno quello che ha fatto l’Italia, tipo la Spagna, ma altri che l’hanno fatto molto parzialmente, come la Germania, vediamo le foto dei berlinesi sui parchi tedeschi abbastanza distanti l’uno dall’altro, ma senza nessun problema.

Altri Paesi hanno seguito altre strade ancora; per esempio, l’America, Paese federale, si è mosso un po’ a macchia di leopardo. Quello che voglio dire, però, è che tutti questi errori, questi differenti trattamenti che i vari Paesi hanno riservato al Coronavirus hanno in comune una cosa: che, dopo circa tre mesi, tutti stanno cominciando a ripartire, indipendentemente dai metodi utilizzati nella lotta alla pandemia, il che, perdonatemi, ma introduce un grosso elemento di relatività nel decidere cosa fare e, quindi, anche nel valutare che cosa si è fatto. Ora, da noi, pur in mancanza di questi dati di fatto realmente attendibili, c’è stato un effetto di feedback di panico tra Governo e popolazione e viceversa; il Governo ha indotto del panico nella popolazione, la popolazione ha indotto del panico nel Governo che si è sentito in dovere di fare, comunque, qualcosa per far vedere che faceva qualcosa; non solo, ma si è deciso di privilegiare, mancando dati precisi, il principio di precauzione in forma estrema, principio di precauzione che è stato falsato, a mio modo di vedere, da due fattori: il primo, che non si è tenuto conto, nell’applicare il principio di precauzione, di considerare anche gli effetti sulle vite umane, intendo dire sulla morte delle persone, che potrebbero essere indotti da una crisi economica che assumesse le caratteristiche di una vera e propria catastrofe, questo non è stato valutato per niente; non solo, ma è stato preso in esame un solo valore: la salute fisica, non anche i valori, altrettanto, per me, importanti, di democrazia e di libertà.

Sulla base di questa visione, di questa applicazione distorta del principio di precauzione, è derivata tutta una serie di errori e, in certi casi, secondo me, anche di vulnus, perché, anzitutto, vi è stato un reale tradimento della Costituzione, tradimento della Costituzione perché si sono cambiati articoli fondamentali sui principi di base della nostra Costituzione con semplici provvedimenti amministrativi, con ciò stesso negando, primo, la gerarchia di efficacia delle leggi – la prima di queste è la Costituzione –, secondo, negando dei principi basilari del nostro ordinamento democratico, terzo, facendolo in maniera illegale e illegittima, perché non si può, davvero, non si può fare ciò con un regolamento, perché i Dpcm, i famosi decreti della presidenza del Consiglio dei ministri sono provvedimenti amministrativi senza reale forza di legge. Ora, sovvertire i principi dell’ordinamento costituzionale in questa maniera, oltre che illegittimo è anche illegale, a mio modo di vedere, e questo è un vulnus grave, soprattutto perché minaccia di costituire un precedente per il futuro. Qualcuno si ricorda le polemiche che ci furono per una frase del senatore Matteo Salvini sui pieni poteri che nel contesto in cui fu pronunciata voleva solo dire che era impossibile governare insieme a un partito che aveva una visione opposta su tutti i temi dello sviluppo economico? Lui intendeva dire che ci vuole un Governo omogeneo per fare una politica omogenea. Noi, oggi, abbiamo visto, invece, prenderli davvero questi pieni poteri, prenderli sul serio e non sulla base anche di un Decreto-legge, data l’urgenza, ma da convertire da parte del Parlamento e da controfirmare da parte del presidente della Repubblica.

Questo vulnus molto grave minaccia di restare, non solo, come una macchia sull’attività di questo Governo e di questo periodo, ma anche e soprattutto come un pericoloso precedente per il futuro. Insomma, sulla base di una visione unilaterale, abbiamo preso dei provvedimenti, a mio modo di vedere e illustrati nella nostra mozione firmata dai capigruppo delle quattro forze principali dell’opposizione, la Lega, che io qui rappresento, Fratelli d’Italia, Forza Italia e i cattolici democratici centristi di Lupi. Accanto a questo, che è di gran lunga il vulnus maggiore che questo Governo ha perpetrato ai nostri principi di ordinamento libero e democratico, ci sono stati anche degli atteggiamenti mentali che credo vadano criticati duramente; il primo, è quell’insistito, ripetuto richiamo all’esigenza di obbedire alle regole. La estrema ripetitività di questo concetto fa pensare che si voglia introdurre, in questo obbedire alle regole, una sorta di automatismo. Cosa intendo dire? C’è un film delizioso della Germania degli anni Venti, cioè della Repubblica di Weimar, quello che è stato forse l’unico momento di Scapigliatura della storia tedesca del Novecento, in cui si narra di un ufficiale postale che, ricevuto un grave torto, dà di matto, si mette la sua più bella uniforme di gala della Germania guglielmina – e, qui, siamo ancora nella Germania post guglielmina, tutti i funzionari avevano un’uniforme – si piazza al centro di Berlino e un po’ per il cipiglio dato dalla sua lucida follia, un po’ per la ricchezza di questa uniforme, comincia a dare ordine a tutti; la gente abituata ad ubbidire, vedendo quello che sembra il simbolo di un’autorità, obbedisce, e il film fa vedere come lui faccia marciare tutti i berlinesi avanti e indietro, inquadrati, per le vie della città, fino a farne una cosa totale per tutti.

Era una satira dell’abitudine instillata nel Reich tedesco all’obbedienza sempre e comunque. È una cosa pericolosa abituarsi all’ubbidienza, sempre e comunque; è chiaro che è molto bene passare solamente quando c’è il verde, ma non dobbiamo abituarci a guardare solo se è verde, dobbiamo anche abituarci a vedere se c’è una bambina che passa, anche se per lei era rosso. Questa capacità della gente di valutare e decidere di conseguenza è un valore che in Italia c’è sempre stato e che va mantenuto. Vedete, il diritto positivo non è la soluzione unica del problema, perché nel diritto positivo basta che una legge sia emanata da un’autorità legittima e che faccia parte omogenea con un sistema, con un corpo di leggi, per essere valida sempre e comunque. Non è così; secondo me, il richiamo al giusnaturalismo, al diritto naturale, ai diritti inalienabili della persona che preesistono a qualunque codificazione legislativa sono fondamentali a qualunque legislazione. E devono sempre essere mantenuti. Pensateci un attimo, se non ci fosse stato un richiamo al diritto naturale, al giusnaturalismo, se l’obbedienza cieca, assoluta, fosse il primo valore, il processo di Norimberga non avrebbe mai potuto essere celebrato. Altro errore culturale. Riprendo da dove avevo cominciato e concludo. Non sto parlando unicamente a coloro che per me, liberale, considero, non dico più vicini, ma almeno meno lontani dalla mia concezione, cioè i cattolici democratici che sono nel PD, i socialisti, i radicali italiani o Italia Viva. No! Io parlo a tutta la maggioranza. Dovete tenere presente i valori di libertà e democrazia per il futuro. Ma se non lo farete, la Lega, che è partito di popolo e per il popolo, ha le risorse morali e intellettuali per opporsi. Siamo gente anche capace di rischiare e soffrire per la libertà.

(*) Il discorso è stato pronunciato dall’onorevole Giuseppe Basini lunedì 11 maggio 2020 alla Camera dei deputati.

Aggiornato il 12 maggio 2020 alle ore 10:49