Quell’antico patto politico tra potere calabrese e Diccì

Da giorni la vicenda Udc (Unione di Centro)-Lorenzo Cesa è al centro delle polemiche. Secondo certi l’indagine su Lorenzo Cesa sarebbe saltata strumentalmente fuori alla vigilia della fiducia al governo, secondo altri la storia è vecchia e prima o poi doveva saltar fuori.

L’Udc Lorenzo Cesa è ora impantanato in una sorta di melassa, perché sotto questa forma s’attaccano le frequentazioni più o meno pericolose nei salotti alti calabresi. Dove, quando e perché i suoi vestiti si siano sporcati di zuccherina melassa è difficile a dirsi: ma è avvenuto, anche a sua insaputa, forse in un lontano passato, in una precedente vita lavorativa. I rapporti allacciati in quei salotti calabresi sono inscindibili, ed il padrone di casa s’offende con estrema facilità. Circa trent’anni fa accompagnavo Giorgio Bocca in quel viaggio nel Sud Italia che poi prese forma ne “L’Inferno, profondo Sud, male oscuro”, e le sue rare parole erano alta accademia dell’università della strada, sulla Calabria sentenziava “questo è un posto dove parlare ti può mettere in pericolo…è come prendere un taxi sbagliato in un posto di guerra, mi è già capitato a Saigon”. Nel 2006, quando Roberto Saviano pubblicava la prima edizione di Gomorra, cercavo Giorgio Bocca per dirgli che forse L’Inferno ha ispirato il giovane autore campano, e che sarebbe stato il caso di fare un nuovo viaggio nel “profondo Sud”. Ma Bocca non voleva impelagarsi in un ennesimo viaggio inchiesta, stanco di come la politica ricadesse (a suo dire) in antichi errori e frequentazioni, in una sorta d’ingenua e puerile malafede. Infatti l’intera classe politica, che ora casca dalle nuvole per quanto emerge nelle inchieste di Nicola Gratteri (vertice della procura distrettuale antimafia di Catanzaro), dovrebbe rammentare come i lavori della Salerno-Reggio Calabria siano durati per più di cinquant’anni, e per continuare a tenere aperti i cantieri, ed il gioco di appalti e subappalti che garantivano rivoli di soldi alle clientele calabresi: guadagni ad imprenditori locali, stipendi ad ingegneri e dipendenti, salari ai tanti operai che non avevano trovato posto nella forestazione e nei consorzi di bonifica. Lorenzo Cesa, oggi politico indagato per voto di scambio, ieri era nel consiglio d’amministrazione dell’Anas: intendiamoci, Cesa in passato non aveva fatto nulla di male, ma in quel momento storico era nel Cda dell’Anas per volere dei democristiani suoi sodali. Girare in quella Calabria d’eterni cantieri stradali non era più sicuro di oggi: le bretelle stradali finivano nel nulla, lasciando isolate le sparute cittadine appese tra Tirreno e Jonio. Intanto l’Anas festeggiava in quella Calabria continue inaugurazioni di tratti stradali che, per rimpallo di competenze sulla viabilità, non vedevano mai il definitivo collaudo e la possibilità di poterci transitare. Lorenzo Cesa è un romano, ma gioco forza con quella Calabria era costretto a convivere, pena l’emarginazione nei salotti democristiani capitolini. E quante ne ha fatte la scuola Diccì per la Calabria. Quanti occhi sono stati chiusi dalle procure calabresi prima che Gratteri recidesse certe metastasi.

A metà anni ’90 nelle redazioni si sorrideva per il fatto che, sfogliando le pagine gialle delle province calabresi, emergesse una sproporzione a favore di maghi ed occultisti (con studi in tutte le capitali del Sud) e poi pochissime imprese: l’esatto opposto del Nord Italia. Soprattutto che nessun inquirente osasse domandarsi se i sedicenti maghi pagassero le tasse, e con quali soldi avessero mai comprato quelle case. C’era solo il mugugno. Si parlottava di “lobby dei maghi”, del fatto che a questa gentaccia alcuni pezzi della ‘ndrangheta avessero anche appaltato il “caro estinto”, ritenendo quest’affare ormai marginale rispetto ad appalti, droga ed armi: della cosa ne scrissi su Il Giornale, destando l’indignazione dell’alta borghesia calabrese residente a Roma. Lo scrivente si chiedeva come potessero nel Sud Italia (soprattutto in Calabria) costituirsi finanziarie e banchette locali popolari aventi come soci costitutori pranoterapeuti, occultisti, maghi…? E la Banca d’Italia prima di dare il via libera all’apertura degli sportelli non verificava se i soci costitutori avessero mai presentato una dichiarazione dei redditi? Emergeva che, il permesso all’apertura di quelle banche calabresi lo avevano dato gli stessi vertici di BankItalia che avevano favorito le banche spuntate come funghi dopo il sisma dell’Irpinia. Scriverne era anche pericoloso, i maghi querelavano o minacciavano denunce d’ogni tipo. Tramite un giornalista calabrese (Astolfo Perroncelli, persona perbene e già querelata dai mafiosi oggi indagati da Gratteri) parlavo con una donna vittima d’usura: l’imprenditrice s’era rivolta ad una banca per ricevere aiuto, quindi era stata indirizzata verso un prelato e poi finita nelle mani d’un mago strozzino. Una storia che, già narrata per sommi capi, desta enorme disgusto. C’è da chiedersi in quale società, che possa definirsi civile, sia permesso che un cittadino venga spinto in simili meandri di malaffare e degrado morale. Qualche anno dopo si scoprirà che quel prete faceva parte della combriccola del parroco di Isola Capo Rizzuto, condannato a 14 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Ebbene, durante le campagne elettorali i candidati calabresi (soprattutto di tradizione democristiana) erano soliti mostrarsi in foto con quei preti e maghi, con quei presidenti di banche locali ed imprenditori stradali, con quei dirigenti dell’Anas come di Asl e Consorzi di bonifica. Nicola Gratteri ha suonato la sveglia, ha prepotentemente messo sotto gli occhi del sistema l’atavico malaffare noto come fabbrica del consenso politico e sociale. Lorenzo Cesa crediamo sia innocente, ma nel suo curriculum scrive d’essere stato nel Cda di “importanti società e banche”. È lecito sospettare Cesa sappia tante cose sul conto del suo sponsor Pier Ferdinando Casini. Sorge il dubbio che, il dimissionario segretario dell’Udc (Lorenzo Cesa) possa interpretare nella vita la parte di Ugo Tognazzi nel film “Sissignore”, pagando anche per altri.

Torna alla mente un episodio. Una quindicina d’anni fa lo scrivente veniva salutato a gran voce da un parlamentare: mi invitava a prendere un caffè con lui e con un signore molto silenzioso che sedeva a suo fianco. Quindi il parlamentare spiegava che il suo taciturno amico “è un socio di banca popolare in Calabria, uomo di chiesa ma anche di magia, sua madre era persona di fiducia di Natuzza Evolo…ora l’amico mio sta investendo nella sanità privata”. Caffè preso malvolentieri. Astofo Perroncelli, da me interpellato, non nutriva alcun dubbio “un segnale preciso… fanno così”. Del resto, proprio dalla Catanzaro di Nicola Gratteri partiva nei primi anni del Regno d’Italia una missiva al ministro dell’Interno, per significare che i Carabinieri riuscivano a scoprire davvero poco, e perché la gente e i salotti bene non si fidavano del nuovo corso, che il potere locale si riuniva in organizzazioni segrete che forse non erano mafia, né massoneria, né carboneria, ma forse erano un po’ di tutto: nei primi anni del Regno d’Italia vennero censite più di tremila associazioni segrete nei territori dell’ex Regno di Napoli (fonte “Fatti&Misfatti, l’Unità d’Italia, Regno, Regime, Repubblica: influenza dei poteri occulti, le scelte condizionate” scritto da Fausto Capalbo per Michele Biallo Editore).

Allora che fare? Tacere e nascondere il problema come ha fatto per settantasei anni la politica? Non è un fatto di schieramento politico, in Calabria sono parimenti penetrati da questa mentalità. Bocca li definiva “cuori di tenebra” facendo il verso a Joseph Conrad e nell’Inferno raccontava della corona di oleandri e ginestre strette da un nastro con su scritto “la popolazione di Platì in ringraziamento all’Anas”: corona di fiori che in processione periodicamente quella gente lancia nel torrente in ricordo delle vittime d’un ponte crollato e mai ricostruito.

Aggiornato il 22 gennaio 2021 alle ore 16:23