La strategia dell’attenzione: guai a chi vince!

Andiamo, dunque, indietro di quaranta anni, parlando di Strategia della tensione? Oppure, molto più realisticamente, si dovrebbe parlare a ragion veduta di Strategia dell’attenzione? Qui in Italia, infatti, si può ammirare il tempismo di un sistema mediatico-giudiziario che interviene con una sincronia perfetta a sgonfiare (letteralmente) il successo di chi, in un modo o nell’altro, rappresenta il Partito (anche solo potenziale!) di maggioranza relativa. Vedi in sequenza, negli ultimi dieci anni, Pd, M5s, Lega e, oggi, FdI. Nel senso che, evidentemente, colui che per mille motivi (sondaggistici, soprattutto!) si ritiene, a torto o a ragione, sia il vincitore come Partito più votato alle prossime elezioni politiche, ha diritto a un supplemento di boicottaggio da parte sia di “amici”, che temono un salasso di voti dal loro contenitore politico a quello del winner-competitor di area, sia di nemici veri e propri.

Tra gli “amici-mica-tanto” ci sono le frange più estremiste dello schieramento, sia che si tratti di destra che di sinistra, soprattutto quando si atteggino a sfidanti in campo aperto, come Forza Nuova, presentandosi con nome, cognome e simbolo nelle liste elettorali ufficiali, vidimate dal competente Ufficio del Viminale. In realtà, come si è visto in occasione dell’assalto alla sede romana della Confederazione dei lavoratori, la questione di fondo non riguarda un ipotetico deficit democratico (che non c’è: oggi, tutti possono manifestare pacificamente il proprio dissenso), bensì una disarmante carenza degli strumenti e delle analisi che riguardano la prevenzione di certi fenomeni radical-sovversivi.

Ed è qui che, in realtà, l’istrice sempre allerta del Politically correct si morde la coda: quando occorre far agire in via preventiva la forza dello Stato, i suoi responsabili, dirigenti tecnici e politici, fanno una grandissima fatica ad avvalersi delle prerogative che la legge affida loro. Il timore, infatti, di ricevere immediatamente critiche feroci di “abuso” è talmente elevato che tutti si atteggiano un po’ vigliaccamente a Don Abbondio, dimenticando che loro però sono pagati dalla collettività per avere coraggio! Certo, anche qui esiste, nel caso specifico del fattaccio della Cgil, un certo gap giuridico-strumentale che riguarda la formulazione della così detta Legge Scelba, n. 645 del 1952. Leggendo attentamente la parte centrale dell’art. 1 che recita: “si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni” vale la pena chiedersi, se, per caso, dal Secondo Dopoguerra a oggi, certe componenti anarcoidi e violente dell’ultrasinistra non abbiano perseguito le stesse finalità antidemocratiche, “esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica”, ma non siano state perseguite a norma della legge Scelba soltanto perché, magari, si facevano scudo del loro manifesto antifascismo.

Quindi, siccome di fascisti veri, quelli che nel Ventennio erano giovani avanguardisti o similari, ne sono rimasti davvero pochissimi (come accade purtroppo per i testimoni scampati ai lager al tempo della Shoah) è ora, forse, di confezionare una legge che, raccolti i principi della norma scelbiana, ne porti tutte le conseguenze penali e censorie a livello più generale ed erga omnes. La stranezza della storia moderna permette di assolvere e di non omologare in una sorta di Scelba-bis “anche” i simpatizzanti dello stalinismo (vedi Autonomia operaia e Potere operaio) che, pur praticando le stesse modalità parafasciste dei loro omologhi di destra, passano indenni le forche caudine dello scioglimento coatto. Del resto, che cosa ha avuto di diverso dal fascismo, per ferocia e spietatezza nella repressione del dissenso, il periodo delle purghe staliniane che hanno provocato la morte di decine di milioni di persone nei gulag e nei campi di concentramento, con l’annientamento totale di qualsiasi libertà democratica? Per non parlare, poi, dei genocidi veri e propri di cui si sono resi autori i leader della Rivoluzione d’Ottobre! Ma c’è qualcosa di altro che fa ritenere del tutto fuori luogo e non appropriato il riferimento alla Strategia della Tensione degli anni Settanta.

Diverse sentenze passate in giudicato hanno fuori di ogni dubbio accertato le corresponsabilità di quelli che sono stati definiti giuridicamente come settori deviati di Apparati di Sicurezza dello Stato, che si ritennero legittimati a operare fuori delle regole in ragione dell’interesse superiore della Guerra tra Blocchi: l’Urss comunista e i suoi satelliti, da una parte, l’Occidente tutto dall’altra. Il discrimine politico e fisico tra i due emisferi ideologici contrapposti fu per molto tempo il Trattato di Yalta, all’ombra del quale si annoverarono ogni tipo di misfatti, tutti autogiustificati, per l’appunto, con quell’interesse superiore che faceva ritenere le molte migliaia di vittime civili degli attentati semplici danni collaterali, inevitabili in vista del mantenimento dello statu quo. Del resto, a ben guardare, la catena di comando dei servizi segreti ovranisti ai tempi del fascismo non venne minimamente smantellata, come si sarebbe dovuto e potuto fare, in quanto fu dapprima integrata nelle fila dell’Oss (Office of Strategic Services che era un servizio segreto statunitense anticomunista, precursore della Cia, operante nel periodo della seconda guerra mondiale nei teatri europei) e, successivamente, utilizzata per innervare l’intelligence civile e militare della neonata Repubblica Italiana, fino ad arrivare alla fine degli anni 70.

Quindi: l’Urss non c’è più; la Cina non si sogna minimamente di rievocarne le gesta, preferendo arricchire il suo popolo, piuttosto che affamarlo con le guerre ideologiche; e nessuno, per disgrazia o per fortuna intende sacrificarsi per una causa nobile che non sia la sua di mero arricchimento o sopravvivenza. No, non ci siamo: in primis, perché oggi nessuno ha in testa una strategia, né di corto, né di lungo respiro. E, tantomeno, esiste una tensione ideologica, che non sia il vuoto discorrere sui social in cui l’inflazione da eccesso di informazione (infodemia) fa sì che ci siano molti più ignoranti in giro di quanti ce ne fossero nei secoli bui del Medioevo. Quindi: di che cosa stiamo parlando?

Aggiornato il 15 ottobre 2021 alle ore 06:25