Sicilia, da un movimento “contro” a un movimento “per”?

L’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, leader del movimento politico Sicilia vera, annuncia la sua candidatura alla presidenza della Regione Siciliana, per le prossime elezioni autunnali. L’onorevole Vittorio Sgarbi, celebre critico d’arte, gli presta il sostegno del suo movimento Rinascimento. Ne discende la prossima formazione di liste comuni sotto il simbolo unificato di Sicilia Vera-Rinascimento. In termini riduttivi, si potrebbe chiosare che due personaggi “fuori dagli schemi”, entrambi noti per un lessico non convenzionale e talvolta “provocatorio”, non potevano che esercitare attrazione reciproca, mentre la congiunzione astrale avrebbe sicuramente favorito il loro incontro. Con ciò coglieremmo solo la scorza esterna di un evento, per certi versi “annunciato” (almeno annunciato dalle “stelle” che sovrintendono ai nostri destini), ma ci sfuggirebbe la sostanza politica.

Non bisogna sottovalutare la vis attrattiva che, specie al Sud, può esercitare un movimento “esterno” agli schieramenti tradizionali, che, proprio per questo, può fregiarsi di “diversità-verginità”, porsi “contro” l’establishment e rivendicare il “cambiamento”. Non per nulla, il nuovo soggetto ha incontrato immediatamente le simpatie di un suo “omologo”, nato da poco, per iniziativa del deputato europeo Dino Giarrusso – eletto nelle liste dei 5 stelle e oggi non più “grillino” – denominato Sud Chiama Nord.

Nel nascente cartello elettorale che sortirà dalle menzionate convergenze, saranno candidati “volti nuovi” e saranno escluse le “solite facce”. Insomma, si forma una galassia, che, per certi versi, si richiama al meridionalismo e, per altri, “all’antipolitica”. Il mix può dar vita a un’offerta politica in grado di attrarre larghe fette dell’elettorato, posto che il disagio sociale è profondo e autentico e il malcontento tende a travolgere indistintamente tutto e tutti. Ed è proprio questo il limite, ma al contempo la forza della candidatura De Luca: l’essere “contro” a prescindere. Si prescinde dalle ideologie; il che non è poi un male; ma si prescinde anche dagli schieramenti; il che comporta il rischio di introdurci nella “terra di nessuno”.

Da qui una serie di interrogativi ineludibili. Se, nella prospettiva strategica e di lungo periodo, il bersaglio non è chiaramente individuato; se la vis critica e corrosiva continuerà ad esercitarsi nei confronti di un indistinto establishment, dai contorni politici sfuggenti; il “cambiamento” non rischia per ciò stesso di essere velleitario? Temiamo proprio di sì, perché deve essere chiaro, innanzitutto, rispetto a che cosa si vuole cambiare. E poi: se i due poli di centrodestra e centrosinistra sono messi sullo stesso piano, in sembiante di “colpevoli” nel medesimo grado e modo; non si rischia forse di scivolare verso un “terzismo” inconcludente? Non si rischia inoltre di inclinare verso il “moralismo”? Quando il programma “nuovo” è migliore del “vecchio”, solo perché i “nuovi” paladini sono migliori dei “vecchi”, si sente immediatamente la puzza della morale che si sovrappone alla politica. E la deriva inevitabile è la spirale “dell’epurazione” infinita, poiché fatalmente nascerà un nuovo “puro”, più puro di te, che ti epurerà. Beppe Grillo docet.

Se dunque la candidatura di De Luca (supportata da Sgarbi e Giarrusso) non mira solo a scompigliare le carte sul tavolo, ma si iscrive in un quadro programmatico culturalmente solido, è necessario chiarire in primo luogo la sostanza identitaria. Il percorso di chiarificazione comincia da un primo passo inevitabile; da una questione, rispetto alla quale la sinistra e la destra non possono essere poste sullo stesso piano. La mondializzazione omologatrice, che intende annullare tutte le identità storico-culturali, nazionali e territoriali (meridionali o settentrionali che siano), procede spedita, alimentata da tutte le sinistre del mondo. Al contempo lo Stato accentratore, che prevarica le autonomie regionali e locali, vede da sempre nella sinistra italiana il più convinto e strenuo sostenitore. Dunque, nell’area culturale della sinistra, non ha senso alcuna Sicilia vera, espressione di autonomia politica e identità storica.

Basterebbe questa sola considerazione, per suggerire a De Luca, nella fase costruens successiva alla campagna elettorale, l’abbandono dell’equidistanza-equivicinanza. Ma c’è di più. In tutto il territorio italiano, il potere consolidato, supportato da mille istituzioni, apparati burocratici, stampa, sindacati, scuola di Stato, in una parola quel conglomerato che Marco Pannella giustamente chiamava “regime”, non dissimile dalla nomenklatura sovietica, fa capo alla sinistra; sicché, la proposta politica di autentico cambiamento non può che essere antagonista e perciò convergere nel campo del centrodestra.

E, infine, la questione della libertà individuale, messa a dura prova in Sicilia dalla politica del “sospetto”. In questa terra il sospetto è ritenuto “anticamera della verità” e dunque, più che altrove, tende a divenire “Verità” assoluta e indiscutibile, per il solo fatto di essere enunciato. Basta dunque bollare l’avversario politico come “impresentabile”, per paralizzarne l’attività politica. Su questo punto si è speso molto, in passato e nel presente, il garantista Sgarbi; ma anche De Luca, che ha patito personalmente i morsi del sospetto eretto a “Verità”, coglie la centralità della questione. Ciò tuttavia non è sufficiente; è necessario anche coglierne tutte le implicazioni politiche. Non sfugge a nessuno che la sinistra ha il potere monopolistico, per investitura divina, di conferire le qualifiche di “presentabilità-impresentabilità”, sicché la via d’uscita dalla paralisi del “sospetto” passa necessariamente per un’alleanza strategica, a livello nazionale, nell’area del centrodestra. Ed è questa la sola strada per fare di un movimento “contro” un movimento “per”.

Aggiornato il 15 luglio 2022 alle ore 10:24