I 100 anni del Partito liberale italiano

È stato celebrato a Roma, l’8 ottobre, nel Tempio di Adriano, il centesimo anniversario della nascita del Partito liberale italiano. È l’occasione giusta per interrogarsi sulle ragioni di fondo del liberalismo e sulla collocazione del partito nel panorama politico odierno. A mio avviso, i liberali non possono stare a sinistra. Prendiamo in considerazione la dicotomia basilare nel campo delle dottrine politiche: da una parte i sedicenti progressisti, dall’altra i conservatori. I liberali appartengono necessariamente all’area dei conservatori, essendo consapevoli che la libertà non fiorisce, laddove mancano i presupposti di fondo.

Nelle civiltà dove gli uomini sono suddivisi in caste non comunicanti; in quelle dove le donne, prigioniere dei loro burqa, non hanno pari dignità degli uomini; nelle teocrazie dove non esiste distinzione tra il potere temporale e quello spirituale; nei Paesi in cui vige la religione di Stato; ivi la libertà non fiorisce. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo conquistato la nostra libertà con molta fatica e un lungo processo secolare; le radici storiche greco-latine, giudaico-cristiane e infine illuministe hanno realizzato le condizioni della libera convivenza. I sedicenti progressisti, ignari del portato storico delle nostre radici, pensano che tutte le culture siano equivalenti: propugnano il multiculturalismo, perché pensano che il progresso sia irreversibile e costituisca un esito scontato dello sviluppo scientifico e tecnologico.

Qui si annida una grande equivoco: in verità, il progresso, in senso stretto e in senso proprio, si realizza solo nel campo scientifico e tecnologico, che riguarda le condizioni materiali della nostra vita; non ha senso invece parlare di progresso nelle relazioni sociali e nel benessere della convivenza. Mentre il sapere scientifico e tecnologico di oggi si somma e aggiunge a quello di ieri – dunque è superiore a quello di ieri e inferiore a quello di domani, in sintesi, appartiene a un ordine additivo – nel campo delle relazioni sociali e dei valori etico-politici, non si realizza alcuna addizione, per la semplice ragione che l’uomo è dotato di libero arbitrio e può scegliere il bene e il male. Ne discende che il male di ieri non è superato irreversibilmente dal bene di oggi e le nefandezze di un tempo possono rivivere nel presente, magari sotto altre spoglie.

I genitori 1 e 2 di oggi non sono eticamente superiori al padre e alla madre di ieri; e le unioni civili di oggi non costituiscono alcun “progresso” rispetto al matrimonio di ieri. D’altronde i moderni sistemi di controllo elettronico e la capillare invasività della burocrazia mettono a repentaglio la libertà di ognuno di noi, come insegna la triste vicenda del green pass, in modi un tempo sconosciuti. Ne discende la necessità di conservare le istituzioni etico-sociali e i valori della civiltà occidentale, i quali, sia pure in mezzo a mille difficoltà e contraddizioni, hanno reso possibile il fiorire della nostra libertà.

La difesa della nostra identità culturale e storica non può essere affidata alle sinistre globaliste, che nel coacervo indistinto del multiculturalismo, intendono rendere liquidi tutti i confini (a cominciare da quelli del sesso), per omologare il pensiero e le coscienze intorno al modello del “politicamente corretto”. Chi difende il libero arbitrio dell’uomo, di fronte a tutte le pretese deterministiche del potere politico, non può trovare spazio a sinistra. Ecco perché i liberali, fieri dei loro cento anni di storia, devono difendere quella storia e stare nel campo del centrodestra.

Aggiornato il 10 ottobre 2022 alle ore 10:03