Spoils system: al servizio dello Stato o della partitocrazia?

Il termine di “Spoils system” nacque negli Stati Uniti quale neologismo coniato dallo statista William Learned Marcy, che in un discorso del 1832 disse “To the victor belong the spoils”. Esso va riferito alla rotazione nei pubblici uffici legata non al merito, ma all’appartenenza ad una stessa “squadra”. Il primo capo di Stato americano che fece ampio ricorso allo Spoils system, fu Andrew Jackson (1828-1836), il quale non ebbe alcun riguardo al fatto che i funzionari avvicendati avessero fatto o meno un buon lavoro nel passato, ma solo che non appartenessero alla sua area politica. Il precedente posto da Jackson fu seguito dai suoi successori, privilegiando interessi di settore sul bene comune; ma gli eccessi di siffatto sistema indussero il presidente Rutherford Birchard Hayes (1877-1881) ad operare una seria riforma, grazie alla quale furono rivalutati il merito e la professionalità non solo a livello federale, ma anche a quello locale.

In Italia nel 1880 Silvio Spaventa viceversa così affermava: “Lo Stato cesserebbe di avere la sua ragione di essere, se non dovesse servire che all’interesse del partito più forte, con danno e conculcazione di diritti delle parti più deboli. Uno Stato così è presto spacciato, la dittatura è alle sue porte. Quando i partiti riescono a dominare prepotentemente nell’amministrazione pubblica, allora è finita per la libertà. La corruzione dei governi parlamentari, massime negli Stati del continente europeo, ha un’altra cagione nell’immenso patronato di cui essi possono disporre: cioè negli impieghi ed uffici che possono conferire ai loro partigiani. È necessità, quindi, di fare una legge sullo stato degli impiegati, che definisca assai precisamente le condizioni e i modi con cui gli uffici pubblici sono conferiti, come ci si può avanzare e le cause per cui si perdono”.

Durante il secolo XX nell’immediato Dopoguerra, dove sicuramente ci sarebbero state motivate ragioni per un cospicuo avvicendamento ai vertici dello Stato, non si realizzarono viceversa quelle epurazioni per le quali era stato creato un apposito alto commissariato. Già nell’estate del 1944 innanzi alla denunzia dell’alto commissario Carlo Sforza per il fatto che risultassero ancora in servizio in molte amministrazioni centrali impiegati compromessi con il fascismo, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio rispose, prendendo ad esempio il Ministero dell’Interno: “Se venisse dato seguito alla proposta dell’E.V., risulterebbero sospesi circa i 2/3 dei funzionari, e verrebbe a determinarsi, di conseguenza, la paralisi dei servizi di istituto”.

La prudenza con cui operò l’organo in questione, fu dovuta alla prevalente tesi che lo Stato democratico doveva essere legalitario, altrimenti non si sarebbe distinto da quello fascista. Gli albori della Repubblica e della democrazia non furono peraltro immuni da alcuni significativi episodi di spoils system nell’amministrazione dello Stato, quali proiezioni di una lotta politica che apparve da subito molto vivace. Vogliamo ricordare al riguardo il caso del professor Luigi Russo, che giunse in Parlamento attraverso l’ interpellanza che l’onorevole Piero Calamandrei volle rivolgere al Ministro della Pubblica istruzione, il democristiano Guido Gonella, “per conoscere – disse – da quali criteri è stato suggerito il provvedimento del 28 ottobre 1948, col quale egli ha ritenuto di non confermare nell’ufficio di direttore della Scuola normale superiore di Pisa il professor Russo (di orientamento laico), che teneva tale ufficio dal 1944”.

Il caso Russo era una questione di principio: la questione della libertà della scienza, della libertà dell’insegnamento, l’eguale diritto di tutti i cittadini meritevoli, di aspirare, indipendentemente dalle loro opinioni politiche, a quegli uffici per i quali si richiedevano soltanto competenza tecnica e meriti scientifici”. Si tratta di vedere se d’ora in avanti in Italia, in contrasto con quel che è scritto nella Costituzione, per avere un ufficio direttivo, un incarico tecnico, un impiego, per cui secondo legge siano necessari soltanto titoli scientifici, occorra in più e prima di tutto avere un requisito politico o confessionale: appartenere all’Azione cattolica o essere collaboratori dell’Osservatore Romano”. La competenza, la preparazione, la scienza non sono più un titolo sufficiente per rimanere negli uffici della Pubblica istruzione – proseguì il Calamandrei – spesso sono il titolo contrario! Funzionari che si trovano puniti e trasferiti soltanto perché hanno fatto il loro dovere; posti inutili che vengono creati soltanto per confinarvi funzionari che hanno fatto il loro dovere!

Il Calamandrei proseguì nel suo intervento citando altri casi di dirigenti del Ministero della Pubblica istruzione che erano stati trasferiti per non aver reso il dovuto ossequio al potere politico. Benedetto Croce, dal canto suo, ancora sul caso Russo, affermò: “Il procedimento del ministro non è stato corretto ed è assai pericoloso come esempio”. A distanza di 75 anni dall’avvento della Repubblica, i fantasmi che turbavano i sonni di uomini della statura morale e civile di Calamandrei e di Croce, hanno ricominciato a prendere concretezza attraverso una serie di nuove norme ispirata e a un sostanziale meccanismo fiduciario tra potere politico e dirigenza, che – a differenza di quanto avveniva negli Usa – non sembra voler mettere in discussione la stabilità del rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione.

Con la cosiddetta “Privatizzazione del pubblico impiego”, si sono in realtà progressivamente perduti l’identità e l’autocontrollo della Pubblica amministrazione, a causa della debolezza della dirigenza amministrativa rispetto a quella politica, come osservò il Melis. Sabino Cassese, pur essendo stato un forte sostenitore della privatizzazione del pubblico impiego, parlò di dirigenti nelle mani della politica, prospettando il pericolo anche a livello nazionale di aver non solo governi transeunti, ma anche un’alta burocrazia instabile. Ed ancora, avvertì che tutta l’esperienza del secolo XX avrebbe consigliato di intraprendere un’altra strada: valorizzare il merito, la professionalità, la preparazione tecnica, non la fedeltà politica. Di togliere dalle mani della politica la scelta degli amministratori e di sottoporla ad organismi tecnici imparziali.

Un’altra voce autorevole ed imparziale si levò contro lo soli sistema, quella del Negri: “È un sistema corruttore – affermò – non può dipendere dal potere politico la nomina dei dirigenti”. Non potevano essere i governi di turno a decidere al riguardo. In una fase come l’attuale, pervasa da continui e dissonanti aneliti riformatori, è difficile trovare una rotta certa e coerente, poiché il mondo della politica appare sempre più orientato a logiche premiali di fedeltà vassallatiche, che non al riconoscimento della dedizione assoluta al servizio allo Stato, nella religione del Dovere che trascende ogni personale, meschino tornaconto individuale. La più recente legge di riforma sulla Dirigenza pubblica, è quella del 7 agosto 2015, che ha introdotto il ruolo unico dei dirigenti (uno per lo Stato, uno per le Regioni e uno per gli Enti locali). La novità più saliente rispetto al passato ed alla nostra tradizione giuridica, è data dal fatto che le norme non sempre cambiano in sintonia con le mutazioni del comune sentire, ma in alcuni casi ne risultano dissonanti – e quindi inique – forzature.

Questo sembra essere il caso di alcune opacità normative nel campo della dirigenza pubblica, che coinvolgono sia i diretti interessati, che la collettività, la quale ha ragione di sentirsi meglio garantita e tutelata da funzionari al servizio dello Stato, che non della forza politica pro tempore predominante. Il sistema dello spoils system, seppure formalmente misconosciuto da coloro che lo hanno introdotto nella sostanza, produce inesorabilmente uno sviamento del corretto perseguimento degli interessi collettivi, poiché negli Enti locali in maniera più marcata, nell’Amministrazione centrale in modo meno appariscente, la selezione può orientarsi non tanto verso le persone più capaci, quanto verso quelle più docili e disponibili a far crescere un consenso o ad assicurare un determinato assetto politico. Un funzionario fortemente motivato per preparazione e professionalità, sarà molto più difficilmente gestibile, rispetto ad un collega sprovvisto di pari retroterra culturale, il quale potrebbe essere proteso non tanto a servire il Paese, quanto ad captandam benevolentiam Principis, per il proprio personale tornaconto. Un’altra anomalia del sistema, è data dall’imputabilità al dirigente del mancato conseguimento di risultati da parte della struttura cui è preposto, il che vorrebbe giustificarsi con una concezione di tipo manageriale privatistico, che peraltro non tiene conto del fatto che nel settore privato non operano i condizionamenti cui ora può essere assoggettato il dirigente pubblico da parte del potere politico, né delle specifiche ed ineludibili differenze fra gli obiettivi che deve perseguire un manager pubblico e quelli che deve raggiungere uno privato.

La Corte costituzionale ha più volte affermato l’incompatibilità con l’articolo 97 della Costituzione di disposizioni di legge, statali o regionali, che prevedano meccanismi di revocabilità ad nutum o di decadenza automatica dalla carica, per i dirigenti titolari di funzioni tecniche di attuazione dell’indirizzo politico, salvo eventuali loro inadeguatezze concernenti i risultati conseguiti, comunque da valutare con tutte le dovute garanzie procedimentali. Per contro, ben diversa è la valutazione che riguarda il personale addetto agli uffici di diretta collaborazione con l’organo di governo, oppure le figure apicali, per le quali risulti decisiva la personale adesione agli orientamenti politici dell’organo nominante. Parafrasando una nota esclamazione di Sidney Sonnino che sul finire del secolo XIX, invocava “Torniamo allo Statuto!”, vorremmo concludere riguardo allo spoils system, con un’accorata preghiera: “Torniamo alla Costituzione”, la quale a distanza di 75 anni, nel suo impianto fondamentale si rivela ancora pienamente consonante con il comune sentire e con i valori nei quali si riconosce la stragrande maggioranza degli italiani.

Aggiornato il 31 gennaio 2023 alle ore 09:23