La guerra e l’ignoranza della storia

Premetto che, con questo scritto, non voglio affrontare le responsabilità della guerra, ma le radici culturali di un atteggiamento verso la guerra e le sue conseguenze. Le generazioni europee che sono nate dopo il 1946 sono fortunate perché, nel bene e nel male, la guerra fredda ha evitato fino al 1991 guerre in Europa. Prima della Seconda guerra mondiale in Europa, in media ogni vent’anni, c’era una guerra tra gli Stati europei. Le stesse popolazioni europee in questi sessant’anni hanno vissuto un benessere non conosciuto dalle altre generazioni, perché, con tutte le contraddizioni che possiamo individuare nel sistema occidentale, la pace ha permesso lo sviluppo economico e con esso l’emancipazione dei lavoratori e dei diritti civili e sociali. Se da un lato la pace ha favorito una crescita del benessere generalizzato, dall’altro la stessa ha favorito l’affermarsi di una cultura, per quanto marginale, dell’irresponsabilità coniugata all’irrazionalità che esclude la logica delle ovvie conseguenze, come se la vita fosse un gioco, un game, dove poi si ricomincia come se nulla fosse accaduto, in poche parole: una fuga dalla realtà. Una fuga non dovuta a una realtà tremenda come una guerra, ma alle difficoltà ad affrontare e collegare le tematiche esistenziali tipiche del benessere; ciò ovviamente dipende da molti fattori: dal decadimento delle istituzioni scolastiche, alle famiglie sempre più distratte e, per questo senso di colpa, estremamente protettive.

In questa società “protetta” si sono sviluppate due sintomatologie opposte: da un lato, un senso di colpevolezza verso il mondo e verso i più deboli cercando un capro espiatorio, con ovvi segni di intolleranza, tipiche del senso di colpa; dall’altro, un individualismo egoistico, che pensando a sé stessi, perde il rapporto con la rete relazionale, sviluppando anche in questo caso la necessità di un capro espiatorio del proprio malessere e dell’intolleranza che ne consegue. In entrambi i casi, si perde quel senso di realtà e di solidarietà realistica tipica della nostra specie. Se è vero che le guerre appartengono alla nostra storia umana, questi sessant’anni hanno dimostrato che è possibile vivere senza guerre, ma è anche vero che le guerre non capitano solo perché c’è un cattivo di turno come banalmente è comodo pensare. Le guerre sono sempre il frutto di scontri di potere e deliri di onnipotenza, a volte ammantati dei valori di libertà, ma dietro c’è sempre l’interesse economico: ieri della casta nobiliare oggi della finanza mondiale e preciso non solo occidentale. 

Le due guerre in corso, quella in Ucraina e quella in Medio Oriente, rispondono a queste logiche. La guerra, oltretutto, obbliga le popolazioni e i governi a schierarsi o di qua o di là. Esse non prevedono, nel momento in cui avvengono, possibilità di riflessione. Riflettere si trasforma, grazie alla polarizzazione supportata dai media, nel dire: “Che si sta con il nemico”. Si diventa partigiani omettendo a se stessi le brutali conseguenze che, immancabilmente, avverranno: distruzione ovunque, l’emergere delle brutalità di cui l’essere umano è un portatore sano, morti di civili innocenti e la strumentalizzazione di essi che ne consegue, come se potessero esistere guerre cavalleresche. La storia ci insegna, ma purtroppo spesso lo dimentichiamo e non lo colleghiamo, che le guerre le fanno vecchi che si conoscono e si odiano e mandano a morire giovani che non si conoscono, ma sono obbligati a odiarsi

Nonostante ciò la specie umana si è data delle regole per limitare i danni, ma sembra che la nostra società tende a dimenticarli. Le vecchie guerre avvenivano tra Stati con eserciti regolari o mercenari identificabili e lo scontro era tra loro “guerrieri”. Ovviamente ci andavano di mezzo anche i civili, ma non erano l’obiettivo, questi casi vengono definiti con un certo eufemismo danni collaterali. Dopo la Seconda guerra mondiale, se da un lato si afferma pian piano l’abbandono del colonialismo inteso come restituzione ai vari popoli della possibilità di autogovernarsi, si presenta un nuovo fenomeno, nuovo per le sue modalità che si chiama terrorismo. Il terrorismo si differenzia degli attentati che abbiamo conosciuto perché essi sono diretti a personalità di potere e non contro la popolazione civile, gli attentati sono il modo come gente di potere usava e usa questa metodologia per eliminare un ostacolo, al di là di chi realmente realizzava l’attentato. 

Il terrorismo si afferma come una forma di guerra vile, perché rifiuta di dichiarare guerra ad uno Stato, che si presuppone a torto o a ragione, ostile ai propri interessi, ma lo considera più forte in uno scontro diretto. Questa differenza è fondamentale per comprendere ciò che avviene. Purtroppo le conseguenze sono evidenti: Hamas è una formazione terroristica e lo conferma il fatto che non ha attaccato l’esercito israeliano, ma ha voluto creare terrore nella società israeliana assassinando e rapendo civili, con l’ovvio obbiettivo di una risposta dell’esercito che, purtroppo, provocherà morti civili tra i palestinesi, consapevoli di ciò lo utilizzeranno per cercare di avere consenso nel mondo musulmano affinché possano odiare gli israeliani. L’obbiettivo di Hamas non è lottare per uno stato Palestinese, ma di distruggere Israele per volontà religiosa ed essere funzionali alla strategia dei mandanti, di cui il principale è lo stato teocratico dell’Iran che uccide il proprio popolo come hanno fatto quelli di Hamas nei confronti degli stessi palestinesi. Questi sono i motivi fondamentali, per cui non ci può essere nessuna comprensione o peggio giustificazione per gli atti di terrorismo, che sono diversi, per quanto condannabili, dagli attentati.

Dobbiamo prendere atto tutti, che il mondo perfetto non esiste perché, purtroppo o per fortuna, l’uomo non è perfetto e dunque esisteranno sempre uomini disturbati che, arrivando al potere, determineranno sconquassi con qualunque tipo scusa, che sia il fondamentalismo religioso, il nazionalismo esasperato il razzismo. Ma il più delle volte dietro tali motivazioni si celano gli interessi economici. Con la scomparsa del comunismo sovietico si è rotto l’equilibrio di Yalta. Oggi il mondo è alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale e ne stiamo subendo le conseguenze. Per noi Paesi democratici si tratta di comprendere come il nostro sistema valoriale possa trovare regole di controllo nei confronti dell’agire della finanza occidentale, che controlla i media e una politica povera di risorse economiche per essere autonoma da questi poteri, e poi regole condivise per quella internazionale. Che si invochi la pace è sacrosanto, ma c’è una vecchia regola che può scandalizzare questa generazione di pacifinti cresciuti nel benessere con il senso di colpa o nell’egoismo esistenziale, i quali già ieri davanti al rischio di uno scontro con l’Unione Sovietica invocavano nei cortei “meglio rossi che morti”. Poi, invece, grazie alle scelte fatte dai governi europei sul bilanciamento degli armamenti nei confronti dell’Est, scomparve la minaccia sovietica. Ascoltai questa regola dalla voce di Bettino Craxi a una manifestazione per la pace con il filosofo Lucio Colletti: “Il vero pacifista è colui che è armato fino ai denti in modo da dissuadere chi vuole attaccarlo. Per evitare le guerre bisogna rafforzare la democrazia e la partecipazione consapevole dei cittadini”.

Aggiornato il 18 ottobre 2023 alle ore 14:39