Femminismo a targhe alterne

Avviso ai naviganti: questo pezzo è rivolto al movimento femminista ma senza generalizzare. Chi conosce cosa sia la generalizzazione e la discriminazione che da essa deriva, cerca sempre di fare attenzione ai preconcetti.

Si dà il caso però che, in occasione della manifestazione più significativa indetta per ricordare le violenze brutali e numerose sulle donne in occasione della ricorrenza di oggi, si sia fatto riferimento a tutto tranne che agli stupri di massa compiuti da Hamas in Israele il 7 ottobre.

Sulla prima pagina del Manifesto, per presentare lo sciopero di piazza della galassia femminista, si allude a una rivolta contro il patriarcato (e le sue guerre), contro l’occupazione coloniale in Palestina e il genocidio a Gaza, la violenza maschile e le discriminazioni sul lavoro. Questa è la piattaforma di rivendicazione dello manifestazione organizzata in occasione dell’otto marzo. E se non fosse ancora abbastanza chiaro, interpellate sulla esclusione plateale delle donne israeliane, alcune responsabili dell’associazione “Non una di meno” hanno risposto in maniera sprezzante che a nessuno viene chiesto il passaporto e che la manifestazione è aperta a tutti coloro che intendono partecipare.

Peccato che non si possa prescindere dal riconoscere che quello del 7 ottobre in Israele sia stato un vero e proprio femminicidio di massa, un’azione scientifica di stupro collettivo con successive mutilazioni, uccisioni o rapimenti (pensati per fare in modo che delle israeliane partorissero dei bambini palestinesi). Tutto confermato dai testimoni di questi orrori ma anche dai prigionieri palestinesi in mano israeliana. Questo è un esempio eclatante di violenza contro le donne: in un’azione di guerra è comprensibile che ci sia una strategia crudele per colpire il nemico. Ma omettere di citare in una manifestazione femminista una simile brutalità pensata per violare in maniera diffusa e scientifica le donne israeliane infierendo con ripetute brutali sevizie è difficilmente perdonabile.

Fatti come questo sarebbero dovuti diventare il simbolo di un intero movimento, ma invece vengono omessi per questioni ideologiche così come la vicenda delle donne rapite per diventare schiave sessuali degli uomini dell’Isis nel 2015. Questo modo di fare è una deriva ideologica molto pericolosa, un relativismo dei diritti anche abbastanza odioso che scredita ingiustamente anni di lotte sacrosante.

Aggiornato il 08 marzo 2024 alle ore 13:18