
Come semplice appunto sul voto per le Regioni, a metà della tornata elettorale ed a margine dei risultati, desidero notare una dichiarazione insignificante, benché ripetuta dai vincitori di destra e di sinistra. Dico insignificante alla lettera, cioè priva di riscontro nella realtà delle cose politiche. Dalla cerchia del vincitore la legittima soddisfazione viene condita con una frase assertiva: “Ha vinto perché ha governato bene.” Ne siamo davvero sicuri? Più che un dubbio, ho la certezza che non è così. Se domando in giro, se ascolto chi conosco, non ne sento uno che mi risponda, anche approssimativamente, su che diavolo faccia davvero la Regione dove vive. A parte la sanità che è regionalizzata, cioè “appaltata” dallo Stato alle Regioni. Dico appaltata perché lo Stato, tutti noi, mette i soldi e la Regione li spende. La spesa sanitaria rappresenta circa l’84 per cento del bilancio regionale. Ne consegue che l’espressione “ha vinto perché ha governato bene” può applicarsi logicamente soltanto al come abbia impiegato i soldi erariali. E qui, il minimo che si possa dire, è che le cose non vanno benissimo. Il buon governo nella sanità pubblica non può ancora definirsi un obiettivo raggiunto. Il grado di realizzazione dei Lea, per di più discriminatorio a dispetto dell’uguaglianza dei cittadini, n’è la prova, quanto lo sono le vergognose liste d’attesa, senza contare gl’imponenti debiti accumulati proprio sgovernando soprattutto la sanità. La catena di comando della sanità è interamente nelle mani della politica, che ne ha dunque la completa responsabilità, sia dei meriti (pochi, spettanti al personale sanitario) che dei demeriti (molti, attribuibili alla gestione dei politici). Dunque, per chi e perché votano gli elettori delle Regioni?
Gl’Italiani, in verità, fanno poco affidamento sui governanti e non s’aspettano molto dai governi nazionali e locali (vedi l’astensionismo!), sebbene ne invochino l’intervento in ogni circostanza. Un popolo, l’italiano, abituato a fidarsi più di sé che di coloro che pure sceglie per farsene governare. Questa verità, ben conosciuta dagli elettori e dagli eletti, dovrebbe indurre i prescelti, se davvero volessero il bene della Nazione, a considerare le aspettative reali, non apparenti o dichiarate, del popolo e così ad agire contro la volontà espressa del corpo elettorale, ma nell’interesse vero e recondito di esso. In nessun Paese, come in Italia, i provvedimenti da prendere nell’interesse della comunità avrebbero da esser contrari a quelli invocati nei comizi elettorali; la simulazione democratica è così sfacciata; ognuno conforma le proprie alle mosse altrui piuttosto che alla giusta condotta che sembra auspicare votando i rappresentanti. Nell’elezione dei consigli regionali la dissociazione tra interessi effettivi, realtà materiale, competizione elettorale è marcata al punto da non potersi individuare la causa determinante, in positivo o in negativo, dell’elezione del presidente, ed ancor meno dei consiglieri, generalmente parlando. Essendosi le Regioni trasformate, in diritto e in fatto, in staterelli aspiranti ad una posizione para-sovrana (hanno pure “ambasciate” all’estero), le elezioni hanno acquistato il carattere intrinsecamente politico, anche negli aspetti deteriori, del voto nazionale, anziché territoriale, come dovrebbe essere se le Regioni avessero inverato il mito che le ispirò nel 1948, deformato nel 1970 e deturpato nel 2001.
Aggiornato il 17 ottobre 2025 alle ore 10:13