Ostellino e Necco, addio a due protagonisti del giornalismo

Due giornalisti ci hanno lasciato. Due personaggi diversi per temperamento, per interessi professionali, per collocazione culturale. Ma due protagonisti del mondo dell’editoria degli ultimi quarant’anni.

Piero Ostellino, classe 1935, ha avuto il coraggio di essere un liberale puro anche nei momenti in cui non essere di sinistra si correva il rischio di essere emarginato. Alla guida del Corriere della Sera dal 1984 al 1987 dove era approdato nel lontano 1967 diventando corrispondente da Mosca durante l’epoca di Brežnev e poi nel 1979 corrispondente da Pechino nella Cina del dopo Mao, quella delle riforme avviate da Deng Xiaoping.

Delle due esperienze restano due libri interessanti e pieni di considerazioni e riflessioni: “Vivere in Russia” il primo e “Vivere in Cina” il secondo. Ostellino si riconosceva nel liberalismo critico, tanto che diede vita a una rubrica molto seguita: il dubbio. Qualche osservatore lo ha considerato “un bastian contrario” ma riusciva a superare l’ostracismo con ironia e un modo di scrivere sempre chiaro e netto.

Bastian contrario anche il napoletano Luigi Necco. Operava, giornalisticamente, nel campo sportivo e soprattutto in televisione. Amava i paradossi, ha dato vita a “siparietti” di classe e di gusto nella rubrica “Novantesimo minuto” nella compagnia e in una stagione di giornalisti di grande spessore, guidati in Rai da Guglielmo Moretti e Gilberto Evangelisti. Erano i tempi dei collegamento di Castellotti-Nesti da Torino, Elio Sparano ed Ennio Vitanza da Milano, Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini da Firenze, Franco Strippoli da Bari, Italo Kuhne e Salvatore Biazzo da Napoli, Maurizio Barendson, Enrico Ameri, Nando Martellini, Bruno Pizzul, Sandro Ciotti, Ezio Luzzi da Roma prima dell’arrivo di Riccardo Cucchi e Livio Forma.

Il giornalismo deve molto sia all’uno che all’altro. Ostellino, anticonformista per vocazione, amava spiazzare gli interlocutori come aveva appreso dal suo maestro, il filosofo Norberto Bobbio che insegnava all’Università di Torino dove Ostellino si era laureato in Scienze politiche. Esperto di politica internazionale, Ostellino sognava un’Italia aperta alla competizione. Il meglio dei suoi scritti è stato raccolto nel libro “Lo Stato canaglia”, una specie di requisitoria polemica contro la cultura assistenzialistica e dirigistica di un ceto politico abituato a trattare i cittadini come sudditi, calpestando spesso i diritti dell’individuo riconosciuti dalla tradizione liberale. Il sottotitolo del libro, edito da Rizzoli, porta l’affermazione “come la politica continua a soffocare l’Italia”. Due le affermazioni tra le più significative: “penso che ciascuno di noi abbia il diritto di vivere come crede alla sola condizione di non arrecare danno, non impedire agli altri di fare altrettanto e di risponderne soltanto alla propria coscienza”.

La seconda osservazione è dell’agosto 2014, quando affermò che “il nostro Stato, che fa confusione tra assistenza e previdenza, supplisce alle proprie carenze sociali e finanziarie con la redistribuzione della ricchezza che meglio sarebbe definire distruzione di ricchezza”.

Del giornalismo di Necco rimane la sua passione, l’amore per il suo Napoli che aveva conosciuto le vette del calcio con Diego Armando Maradona e del primo scudetto nel 1987 della società di Ferlaino (media di oltre 70mila spettatori al San Paolo) con Giuseppe Bruscolotti, Ciro Ferrara, Salvatore Bagni, Andrea Carnevale e Bruno Giordano.

Aggiornato il 14 marzo 2018 alle ore 08:15