La disinformazione oggi

La “dezinformatsiya”. Ovvero l’arma tattica della defunta Urss, concepita nel 1923 dal Gpu (precursore del Kgb) per condurre operazioni di intelligence, confezionando ante litteram fake-news quando ancora non esisteva la televisione e il Grande Fratello orwelliano si limitava semplicemente alle creature di Marconi e di Gutenberg. Quindi, la caratteristica dell’epoca, rimasta sostanzialmente invariata fino alla diffusione dell’Internet di massa, erano i confini fisici (difficile arrivare in America con le sole onde hertziane) e la lenta circolazione della stampa di regime e delle pubblicazioni da questo segretamente finanziate in Occidente. Per non parlare del fatto che si potevano sequestrare con un provvedimento del giudice tutte le copie in circolazione di cui si fosse dimostrato il contenuto disinformante e dannoso per la sicurezza dello Stato. A partire dagli anni Novanta del XX secolo tutto ciò è diventato semplicemente archeologia mantenendo soltanto un ruolo marginale e molto meno incisivo, sostituito dalle news televisive con supporto satellitare e dai social media della Silicon Valley (Facebook, Twitter, WhatsApp, etc.). Una rivoluzione tecnologica dagli effetti devastanti, dal punto di vista delle fabbricazione e della diffusione planetaria istantanea di fake-news.

Da “bipolo” (Urss-Occidente) il propagatore è divenuto multipolare in modo esponenziale (con miliardi di potenziali nodi!) e quindi del tutto incontrollabile. Chiunque (soprattutto Stati attrezzati come Russia, Cina, Corea del Nord, etc.) con le giuste conoscenze informatiche e sfruttando la tecnologia del web, è in grado di costruire la sua centrale di disinformazione, previa acquisizione di milioni di profili iscritti a Facebook o a Google, partecipando così attivamente alla guerra planetaria dell’Algoworld, dominata dagli algoritmi in cui software sempre più sofisticati (denominati bots, troll, etc.) imitano il comportamento umano, veicolando così i loro veleni disinformanti, replicati in molti milioni di copie da gruppi di iscritti ai social coesi ideologicamente, refrattari al confronto e alla dialettica politica e sociale, di cui si amplificano a dismisura i pregiudizi, gli odi viscerali contro un certo tipo di scelte politiche e/o di leader. Tutto ciò risulta particolarmente devastante nel dibattito politico sulle grandi scelte di fondo della società rappresentata e nel discredito delle élite al potere, drenandone drasticamente i consensi a loro favore, per orientarli verso scelte spesso più “viscerali”, che vengono immediatamente recepite dalla “pancia” degli elettori (facilissimo odiare, rispetto a ragionare, per cui servono tempo, preparazione intellettuale e argomenti validi da sostenere), a discapito del confronto e del dibattito aperto.

Tanto più che (vedi Trump, Salvini, Di Maio, etc.) le decisioni politiche che contano vengono prese sull’impronta di un tweet, di un post su Fb e così via, che hanno un altissimo impatto sull’emotività dell’opinione pubblica, facendo del consenso un puro repertorio online dai contenuti cangianti e contraddittori anche in tempo reale. Il cosiddetto “voto fluido” ha questa e non altra constituency elettorale. Smartphone, tablet, computer sono i nuovi demoni dell’antipolitica, ma soltanto perché i tempi di reazione degli umani ai cambiamenti epocali di linguaggio e di identificazione culturale sono infinitamente più lenti di quelli richiesti da un oceano (soprattutto autoprodotto!) di informazioni che viaggiano alla velocità della luce e posso essere immagazzinate ovunque e in numero illimitato! Rimedi? Rifondare dalle basi la formazione scolastica e umanistica gentiliana e classica, costruendo a partire dai più piccoli solide barriere culturali e metodi efficaci di selezione/analisi per giudicare il mondo e il pensiero dei nostri simili!

 

Aggiornato il 03 settembre 2018 alle ore 16:19