Uno tsunami italiano: il caso P2

Parte 2: Dalla caduta del Governo Forlani alla costituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta. Qui la prima parte.

Subito dopo la deflagrazione del caso “P2”, il Presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, cercò di gestire al meglio la crisi politica e morale che aveva travolto il Paese. Già il 7 maggio, egli aveva istituito un comitato di tre saggi che avrebbe dovuto accertare se “la P2 fosse un’associazione segreta vietata in quanto tale dall’articolo 18 della Costituzione”. Il comitato fu costituito da noti giuristi: Aldo Sandulli, Vezio Crisafulli e Lionello Levi Sandri. Ma non fu sufficiente; l’intera nazione era sconvolta. Dai documenti sequestrati, risultavano iscritti nella loggia di Licio Gelli 59 parlamentari, 119 alti ufficiali, 22 dirigenti di polizia, un giudice costituzionale, 8 direttori di giornali e non era finita: negli incartamenti sequestrati a Castiglion Fibocchi compariva il nome del ministro Enrico Manca, mentre un altro ministro, Franco Foschi, era indiziato di appartenervi, infine risultava che il titolare del dicastero di Grazia e Giustizia, Adolfo Sarti, avesse presentato nel 1977 domanda di ammissione alla “P2”, richiesta in seguito ritirata. Vi fu allora una tempesta di smentite e di sospetti, di accuse e di querele, di insinuazioni e di ipotesi e, soprattutto vi fu la richiesta di far chiarezza su uno scandalo che non aveva precedenti.

In questo clima l’Esecutivo rassegnò le dimissioni e il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, chiamò Giovanni Spadolini a guidare un nuovo Governo. Nel frattempo la commissione dei “tre saggi” ritenne che gli elenchi rinvenuti dalla Procura di Milano fossero attendibili e che la “P2” fosse un’associazione segreta, poiché la notorietà della loggia non incideva sul suo carattere di segretezza.

L’eliminazione dell’officina di Licio Gelli, era già una risposta ma non era bastevole a placare l'opinione pubblica, era necessario conoscere il danno che la “P2” aveva recato al Paese, quali fossero i suoi fini, quali fossero i personaggi compromessi e quali potenzialità eversive avesse realmente avuto un’escrescenza pervasiva che aveva operato a lungo nel buio. Per questo fu istituita, con la legge del 23 settembre, una Commissione parlamentare d’inchiesta, composta da venti senatori e da venti deputati, nominati dai presidenti della Camere, a guidarla fu chiamata Tina Anselmi, ex partigiana e prima donna ministro nel nostro Paese; era un personaggio, di specchiata onestà, stimato da tutti e considerata una sicurezza per la sua fede nella democrazia. A tale organismo fu assegnato un compito fondamentale: giungere alla verità e ridare credibilità all’Italia.

Aggiornato il 04 ottobre 2019 alle ore 13:32