Forze turche in Siria: perché il crimine di aggressione non può essere punito

Ogni qualvolta si assiste ad un’aggressione di uno Stato verso un altro Stato, come quella che sta avvenendo in questi giorni con l’avvio delle operazioni della Turchia in territorio siriano, ci si chiede perchè gli autori del crimine non possano essere perseguiti.

Il crimine di aggressione è uno dei più controversi della storia del Diritto internazionale e proprio per questa area grigia del diritto oggi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si limiterà ad esprimere la sua ferma condanna per l’azione turca come già hanno fatto l’Unione europea, politici nazionali e organismi internazionali.

Con linguaggio onusiano il Consiglio inviterà gli Stati membri a esercitare pressioni, esorterà, richiederà, richiamerà… “deciderà di monitorare costantemente la situazione”!

Già al termine della Prima guerra mondiale era stato esaminato il problema dell’aggressione e a tal fine era stata creata una Commissione a margine di Versailles per esaminare le responsabilità penali personali degli autori della guerra. Secondo la Commissione, siamo nel 1919, tutte le persone, indipendentemente dal rango, colpevoli di aver offeso il diritto, le consuetudini belliche e le leggi dell’umanità avrebbero dovuto essere sottoposte a procedimento penale. A giudicare i colpevoli sarebbe stato un istituendo tribunale internazionale che avrebbe dovuto distinguere tra gli atti che avevano causato la guerra e quelli commessi durante la condotta delle operazioni. Fu deciso che solo questi ultimi, ovvero i “crimini di guerra” in senso proprio, avrebbero dovuto essere oggetto di attenzione da parte del Tribunale. I primi invece configuravano una diversa categoria, il “crimine della guerra di aggressione” che, secondo la Commissione, aveva natura diversa rispetto agli altri, appartenendo alla sfera della morale piuttosto che a quella del diritto.

Fu così che il Kaiser, Guglielmo II di Germania, evitò di essere condannato per aver violato i confini di Francia e Serbia ancor prima della dichiarazione di guerra.

Anche lo Statuto della Società delle Nazioni non forniva una definizione puntuale di aggressione, così come Norimberga il cui processo ha perseguito criminali resisi responsabili di gravissime violazioni durante il conflitto ma non ha esaminato le responsabilità di chi tale conflitto ha causato.

Neppure la successiva Carta delle Nazioni Unite ha sopperito: essa non definisce il concetto di aggressione e non prevede esplicitamente alcuna sanzione per i trasgressori del divieto di uso della forza. A causa del meccanismo del veto previsto dalla Carta, le cinque potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale risultano arbitri assoluti della decisione su cosa sia un’aggressione e su chi sia aggressore, e dunque su quando la forza è usata legittimamente.

In tempi più recenti è stato sottoscritto lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte Penale Internazionale incaricata di perseguire reati gravissimi ben definiti dal testo dello Statuto: crimini di guerra, crimini contro l’umanità, genocidio e aggressione. Con grande sorpresa, scorrendo gli articoli, per quanto riguarda l’aggressione oltre al mero inserimento tra i crimini da perseguire non vi è altro, né definizione, né pena per chi la commette. In ogni caso, l’esperienza della Corte Penale Internazionale si sta dimostrando fallimentare non solo perché continua a sorvolare sul tema dell’aggressione, ma per il motivo che dalla data della sua istituzione (2008) è riuscita ad emettere una sola condanna, nei confronti di un comandante congolese responsabile di reclutamento di soldati-bambino.

Il problema sostanziale è che il sistema delle Nazioni Unite ha messo al bando la guerra solo sul piano del lessico normativo e la possibilità di una riforma sembra molto improbabile, per la ragione che gli unici soggetti che potrebbero dar vita ad una effettiva riforma dell’organizzazione sono anche i più fedeli custodi dello status quo.

L’introduzione del principio della guerra umanitaria o della “Responsabilità di proteggere” ha reso ancor più labile il confine del lecito. Obiettivo del Diritto internazionale dovrebbe quindi essere quello di emanciparsi dal problema morale, politico e teologico della eliminazione della guerra, e riconquistare la dimensione giuridica del problema della guerra, ovvero quello della sua limitazione. Si potrebbe così avere un rilancio di quello che possiamo chiamare diritto internazionale dei conflitti armati o diritto internazionale umanitario.

Probabilmente la Comunità internazionale non assisterebbe più impotente a violazioni del Diritto internazionale come quella che il governo turco sta commettendo ai danni del popolo curdo.

Aggiornato il 10 ottobre 2019 alle ore 13:58