Lotta al terrorismo: l’Italia prima nel mondo

Molti si chiedono perché nel nostro Paese non sono mai avvenuti attentati terroristici di matrice islamica. Chi attribuisce la circostanza alla casualità, chi alla politica filoislamica ritenuta prevalente nei governi che si sono succeduti negli anni, chi all’abilità delle nostre forze di polizia.

Probabilmente sarà un insieme di tutti i suddetti fattori, ma quando si parla di una specifica tipologia di criminalità di sicuro il ruolo dell’apparato di sicurezza deve avere una priorità nel giudizio.

A livello internazionale un ruolo determinante lo hanno giocato le nostre Forze armate nelle missioni di supporto alla pace. A differenza di altri contingenti, in Libano, in Iraq, in Afghanistan, in Somalia esse hanno sempre avuto un atteggiamento di vicinanza alle popolazioni locali e il soldato italiano non è mai stato considerato un invasore o un usurpatore della sovranità domestica. Non viene percepito come soldato di occupazione, al contrario la sua presenza sul territorio permette alla popolazione di riprendere la normalità della vita. Gli alpini o i bersaglieri o i carabinieri italiani nonostante camminino armati o si muovano su mezzi militari blindati non fanno paura, anzi vengono salutati dalla popolazione del posto e loro volentieri rispondono al saluto, anche se stanno svolgendo compiti militari spesso molto duri e rischiosi. Il soldato italiano ha capacità di discernimento: sa che una donna o un bambino non costituiscono una minaccia e quindi ricambia il gesto pur essendo legato ad un regolamento militare rigoroso che comunque non gli impedisce di scegliere una modalità più umana di svolgere il suo compito.

È però a livello nazionale che disponiamo di un organo unico sino ad ora dimostratosi la carta vincente: il C.A.S.A., acronimo per Comitato Analisi Strategica Antiterrorismo, nato dopo il 2004 pochi mesi dopo l’attentato alla base dei carabinieri di Nassiriya in Iraq. Fu deciso dal Governo di allora di creare una struttura per prevenire attacchi terroristici nel Paese e all’estero attraverso la condivisione e l’analisi in tempo reale di tutte le informazioni pertinenti provenienti dagli Enti preposti alla lotta al terrorismo.

Il comitato è composto dal ministro dell’interno, dal capo della Polizia, dal Comandante generale dei carabinieri, dai direttori di AiSE e AiSI. Settimanalmente si riuniscono rappresentanti tecnici degli Enti da essi diretti che analizzano indagini e attività di monitoraggio in corso valutando i provvedimenti da intraprendere. Ogni settimana vengono esaminate tutte le segnalazioni ricevute sia dalle Digos delle principali questure che dalle più remote stazioni dei carabinieri, vero tesoro informativo tipico dell’ordinamento italiano. Risultato è che se in Italia dimorano 142 foreign fighters, la loro esistenza è conosciuta in egual maniera da tutte le forze di polizia e può costantemente essere monitorata.

La struttura opera sia come strumento di analisi di prevenzione e contrasto al terrorismo che come dispositivo esecutivo che si avvale per le operazioni finali dei reparti interessati sparsi sul territorio.

L’esperienza italiana acquisita durante la lotta alle Brigate rosse ha consentito di creare un perfetto meccanismo di cooperazione tra i Servizi di informazione e le Forze dell’ordine cui intervengono, secondo la minaccia, anche rappresentanti di omologhi enti di Paesi stranieri eventualmente interessati.

La funzionalità di un sistema si giudica dai risultati e le numerose operazioni di polizia e carabinieri che periodicamente disarticolano intere organizzazioni terroristiche sono il riscontro solo di quella parte del lavoro che può essere divulgata.

La possibilità di ottimizzare l’utilizzo dei dati acquisiti dalle Forze armate nelle missioni internazionali renderebbe ancor più perfetto l’apparato. Al momento, infatti, la nostra legislazione in materia di protezione dei dati personali non consente di inserire nella banca dati del Casa o delle forze di polizia generalità biometriche (caratteristiche somatiche, impronte digitali, iride, Dna di insurgens e attentatori) che potrebbero essere acquisite durante le operazioni in Paesi stranieri.

È necessario ed auspicabile, pertanto, un adeguamento normativo volto a consentire alle nostre Forze armate impegnate in missioni all’estero di trattare i dati personali, in particolare quelli biometrici, con modalità in linea con il nostro “Codice in materia di trattamento dei dati personali”e con il “Regolamento europeo sulla protezione dei dati.

Aggiornato il 04 dicembre 2019 alle ore 13:05