Rapporto Censis 2019: dal rancore al furore

Ritratto un “po’ così” dell’Italia e degli italiani. Il Rapporto Censis 2019, presentato il 6 dicembre scorso nella verdissima sede del Cnel a Villa Borghese, a Roma (in perfetta sintonia con l’invocazione di Greta Thunberg e dell’aspirazione alla Green Economy), è in linea per analogia con quello degli anni precedenti, con tante ombre e ben poche luci.

Diciamo subito che ci si sarebbe aspettato qualcosa di più per quanto riguarda la formazione scolastica, di cui il dato recente delle statistiche internazionali colloca l’Italia e i giovani adolescenti nella scala bassa dell’apprendimento scolastico, per carenze strutturali nella comprensione di un testo scritto e delle evidenti lacune nel campo delle conoscenze tecniche e scientifiche. L’altra verità, scomodissima, è quella del mondo del lavoro prossimo venturo, solo in parte esplicitata nella sua reale drammaticità. Ovvero, nei prossimi non è da escludere la perdita di altri milioni di posti di lavoro, a causa della crescente densità di know-how e della richiesta di skill ben più elevati che nel passato (= istruzione a vita!) indispensabili per la conquista di un decoroso reddito da lavoro, soprattutto giovanile. Ciò che il rapporto fa vedere con assoluta chiarezza è la perdita reale di quasi un milione di posti di lavoro mascherata dal vertiginoso aumento dell’occupazione precaria e del part-time abbinati alla riduzione dei redditi da lavoro.

Infatti, se le statistiche ufficiali ci dicono oggi che gli occupati crescono recuperando posti di lavoro pre-crisi, d’altra parte è anche vero che nello stesso periodo del rilevamento 2007-2018 le ore lavorate sono diminuite di 2,3 miliardi, mentre la cassa integrazione ha raggiunto i 216 milioni di ore. Parallelamente, nel decennio, si è assistito alla crescita straordinaria del part-time (+ 38 per cento), oggi per lo più di tipo involontario per i giovani. Quindi, facendo l’equivalente della piena occupazione, la perdita reale di occupati (“unità di lavoro equivalenti”) è di poco inferiore al milione di unità rispetto al 2007. Per di più, dato che il Pil per abitante è un rapporto che risente della diminuzione della popolazione, la retribuzione media è diminuita di più di mille euro/anno rispetto a 2007! Secondo i dati del 2018, il Pil si colloca ancora 4 punti al di sotto rispetto al 2007, mentre i consumi delle famiglie diminuiscono del 2 per cento. Dati confortanti vengono dall’export che continua a crescere, mentre oggi l’aumento del Pil è pari a uno scarso 0,2 per cento. Analisi? Sociologicamente, gli italiani sono riusciti a sottrarsi al mulinello della crisi senza però acquisire un’ispirazione verso l’alto. Prevale quindi l’incertezza che, essendo dinamica, tende a macerare dall’interno il corpo sociale generando ansia. La società italiana deve affrontare una sequenza micidiale di circostanze sfavorevoli che comportano uno stravolgimento sociale epocale.

Tra le cause più rilevanti si citano sia la rarefazione del Welfare pubblico (costretto a dirottare risorse crescenti sull’assistenza, costringendo così molti italiani a dover fare da soli), a causa dell’invecchiamento della popolazione con conseguente forte aumento dei bisogni di cura per cronicità e non autosufficienza; sia la rottura dell’ascensore sociale che produce un conseguente declassamento delle aspettative. In generale, si assiste allo stravolgimento del modello precedente di sviluppo, con la rinuncia degli Italiani ai due storici pilastri della sicurezza familiare: mattoni e bot (oggi, il 61 per cento dei nostri connazionali non li comprerebbe), anche a causa dei rendimenti molto bassi di questi ultimi, mentre non si ferma la corsa verso la liquidità, pari a più 33 per cento negli ultimi 10 anni! Dal 2006 l’economia e il corpo sociale italiano sono scivolati verso il basso: il futuro, per così dire, è “presentizzato” rendendo pertanto incerta l’ispirazione al domani. Il declino sociale ha compromesso il telaio dei soggetti collettivi rendendoli fragili, mentre nel contempo aumentano la denatalità e la difficoltà di accesso alle cure. Le persone tendono a trovare rimedi sempre più individuali alla crisi in atto, mentre le industrie ristrutturano e riducono l’occupazione al di fuori di una logica sistemica. Il Terziario, da parte sua, continua a scivolare verso livelli di qualità sempre più modeste, e si assiste a un allontanamento dalle responsabilità collettive in attesa del crollo. 

Un indice di tale tendenza è rappresentato dal severo scrutinio dei consumi e dall’accumulazione difensiva della liquidità, favorita anche dai redditi in nero. L’incertezza provoca l’innalzamento dello stress individuale come si può dedurre dal consumo di ansiolitici, aumentato del 23 per cento negli ultimi tre anni. Gli italiani non si fidano gli uni degli altri e si registrano preoccupanti tensioni antidemocratiche, con il 48 per cento che dichiara di preferire un uomo forte al comando, mentre un altro 76 per cento non ha fiducia nei partiti e questo smottamento del consenso coinvolge soprattutto la parte bassa della scala sociale. L’Italia più di altri Paesi è investita da una sorta di tsunami demografico, con un tasso di natalità in costante calo e un sempre più rapido invecchiamento della popolazione. Tra ventanni gli under 35 saranno surclassati dagli over 65, con forti ripercussioni negative sulla fascia attiva dei lavoratori. Si stima che da qui a trentanni vi saranno quattro milioni di abitanti in meno, e la riduzione di popolazione attesa si concentrerà soprattutto nel sud, dove gli immigrati preferiscono non fermarsi come dimostrano le statistiche dei matrimoni con stranieri che al nord sono il triplo del sud.

In generale, la società italiana sfugge da ogni caratterizzazione unitaria ed è possibile cogliere soltanto tanti piccoli segnali diffusi. La ricomposizione della grave frattura prodotta dalla crisi fa leva sulla costruzione di alcune piastre di sostegno, ovvero: la ritrovata vocazione manifatturiera e il ritorno alla fabbrica; l’attenzione al clima e la tutela ambiente per un’economia circolare; la rinnovata fiducia nell’Europa per dare un senso al futuro; l’aumento del risparmio privato di famiglie e imprese per affrontare le difficoltà a medio lungo-termine. Accanto alle piastre strutturali di contenimento della crisi coesistono quelli che il Censis chiama “muretti di pietra” per evitare frane nel terreno, come gli incubatori di imprese giovanili per sviluppare idee e creare imprese; le nicchie tecnologiche; il proliferare dei luoghi di incontro con piccoli festival ed eventi di piazza. Un passaggio rilevante è dedicato al ruolo odierno della politica chiamata a suggerire rimedi alla perdita di fiducia nel futuro ma incapace di decidere per difficoltà strutturali e di elaborare nuove idee per lo sviluppo della società, preferendo la lotta per il potere fine a se stessa.

Aggiornato il 11 dicembre 2019 alle ore 13:58