Che la violenza femminile riparta da Rula. Ah, che storia eccezionale questa di Rula Jebreal al Festival di Sanremo, troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Com’è andata ormai lo sappiamo tutti. Amadeus le aveva offerto un vallettaggio, il web è insorto, la Rai si è ritirata, la stampa si è scatenata, la Rai è tornata sui suoi passi e ora sembra che pagherà alla giornalista venticinque mila euro per dieci minuti di pistolotto educativo sulla violenza sulle donne dal pulpito sanremese. Fermo subito chi pensa che ce l’abbiamo con Rula. Rula è un patrimonio nazionale da tutelare, come la torre di Pisa, come il bidet, come la nduja calabra. Mi sono chiesta, a differenza di molti, non conoscendola se non per aver assistito ad alcune sue performance giornalistiche in trasmissioni televisive di dubbia riuscita, chi fosse veramente costei oltre alla famosa “gnocca senza testa” che qualcuno le affibbiò come squallido e sessista nomignolo.

Nata in Isralele da un custode di una Moschea di origini arabo-nigeriane-palestinesi, la nostra eroina come tutte le eroine ha una storia triste e di riscatto sociale, come spesso accade nei migliori racconti. La sua povera mamma si è suicidata, si legge sul web, a causa delle violenze subite in giovane età gettandosi in mare e annegando tragicamente quando lei aveva solamente cinque anni. Così, la nostra finisce in un collegio-orfanotrofio, grande rispetto per un inizio di vita così difficile. In seguito, per meriti scolastici riceverà una borsa di studio dall’università di Bologna per un corso di laurea in fisioterapia e verrà quindi in Italia dove sarà poi naturalizzata. Essendo diplomata con una laurea breve in fisioterapia e parla l’arabo, lo sbocco naturale non poteva essere che quello di iniziare la carriera giornalistica al Resto del Carlino, nota redazione affetta da sciatiche e flogosi, e da lì la sua carriera decolla: Il Giorno, La Nazione, Il Messaggero, La 7 Omnibus, Anno Zero, vince anche dei premi, diventa sceneggiatrice e regista, affronta la trasvolata atlantica e approda nel jet set internazionale, prima al fianco del regista Julian Schnabel, diventando quindi la fidanzata di uno che conta per poi sposare un miliardario, ma non uno di quelli qualsiasi, l’erede di una generazione di banchieri, e le si aprono le porte della Cnn, le viene persino offerta una docenza all’Università di Miami.

Tutto merito del diploma triennale in fisioterapia? No di certo, forse Rula è brava. Come si fa a non ammirarla? È bella e intelligente e ci ha saputo fare. Punto. Non a tutti sta simpatica per le sue idee troppo democratiche, per le sue più recenti sparate un po’ infelici contro l’uomo bianco sessista indirizzate a Nicola Porro, ma sfido qualsiasi diplomata in fisioterapia a fare la sua ascesa sociale e professionale. Tornando a noi, sembrerebbe che a Sanremo gli italiani non la vogliano perché aveva dichiarato che l’Italia e gli italiani sono razzisti e fascisti, non inclusivi, insomma fanno schifo. Lei, cresciuta, istruita, naturalizzata e nutrita anche professionalmente dal nostro Paese lo avrebbe ripudiato malamente. Pertanto, visto quanto suddetto, era sembrata alle folle di Internet un’ingrata, visto che l’Italia e gli italiani le hanno dato più o meno tutto. Il problema vero, cari amici, è che c’era presumibilmente un precontratto, o quantomeno un qualche tipo di accordo e relativa responsabilità precontrattuale, perché non è che il direttore artistico di un premio internazionale storico come lo è Sanremo, che come sbaglia mezza mossa ti scattano le penali o ti rovini la carriera, ti propone di fare la valletta con una telefonata.

Ovvio. Se era per me ci andavo anche gratis con un messaggino su Whatsapp anche vestita da mazzo di fiori a parlare di gattini, ma ieri La Verità di Maurizio Belpietro ben spiega tra le righe che il ritorno di Rula è merito di un agente e che, tu guarda la vita, è il più potente in circolazione: Lucio Presta, l’agente di Amadeus che era al tavolo della trattativa di “riprotezione” dopo le polemiche e che indubbiamente ha voce in capitolo ed è molto legato a Matteo Renzi. Quel Renzi che è molto legato a Rula che ha partecipato in qualità di ospite ad alcuni dibattiti alla Leopolda. Insomma, Rula forse ha ancora una volta gli amici giusti, anche se la foto scattata con Harvey Weinstein, quello del scandalo sessuale di Hollywood che ha patteggiato 26 cause di stupro in cambio di ruoli cinematografici pur professandosi innocente, il famigerato protagonista del Mee too, forse è un po’ un autogol a questo punto. O forse no.

Io, se guardassi Sanremo la vorrei ascoltare Rula Jebreal, ma non guardo Sanremo da almeno vent’anni e di discorsi sulla violenza sulle donne ne sento già tantissimi anche fuori, specie trattandosi di un programma musicale dove inserire temi sociali ha poco senso e lo trasforma in una Domenica in o una Vita in diretta qualsiasi. Preferirei, invece della solita retorica sulla violenza di genere, che Rula Jebreal ci parlasse della forza di genere, sapere come fare da un orfanotrofio periferico di Dar El Tifel a ottenere una borsa di studio che non ottengono nemmeno i ragazzini orfani italiani, entrare in un giornale con un diploma in fisioterapia quando non ti assumono nemmeno dopo anni gavetta o di carriera, come arrivare ad essere lanciata da Michele Santoro, scrivere un libro che diventa un best seller quando gli editori nemmeno ti rispondono e trovare un fidanzato regista che me lo fa produrre al cinema, dopodiché sposare un milionario e vivere una vita da jet set, sarebbe molto più utile per una donna moderna. Troppo moderno come contenuto per Sanremo, troppo moderno anche per molti italiani e italiane. È chiaro ed evidente che Rula è bella e brava, forse non nel giornalismo, come le imputano i suoi detrattori, ma io sto dalla parte di Rula.

Aggiornato il 10 gennaio 2020 alle ore 12:09