Perché il governo italiano e l’Istituto superiore di sanità non ci dicono con esattezza il numero dei morti per Coronavirus? Innanzitutto parlare di Coronavirus genera una certa confusione, dal momento che, da decenni, i Coronavirus infestano annualmente il mondo con virus influenzali, cagionando per lo più polmoniti. Quest’anno lo hanno chiamato Covid-19, dichiarandolo ad alta letalità per i soggetti in età avanzata ma praticamente sicuro per bimbi e donne in gravidanza: quindi, con una enorme differenza rispetto ai Coronavirus degli anni passati. Nella confusione dei numeri, lanciati dalle varie autorità su tutti i media, si possono registrare rilevanti contraddizioni. Proviamo a fare un po’ di ordine. Partiamo da una interessante osservazione scientifica, che si rileva sull’Huffington Post del 13 marzo, da parte di Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di biochimica dell’ospedale Sacco di Milano, la quale ha fatto chiarezza, nel senso che, guardando i dati, ha precisato che: “Questo virus, nella gran parte dei casi, o è silente o ci dà sintomi simil influenzali, nel 90 per cento dei casi”, mentre, “C’è un 10 per cento di persone che ha bisogno di essere ricoverato in ospedale. Angelo Borrelli, il capo della protezione civile, ci ha detto più volte che le fasce più toccate sono anziani sofferenti da una a quattro patologie. Il virus dunque è stato una aggravante. Ad oggi i dati di morte diretta per Coronavirus sono molto scarsi, si parla di qualche unità. Oggi l’età media dei deceduti è 81-83 anni”.

Questo intervento costituisce una bella iniezione di ottimismo in una questa situazione che comunque resta drammatica. Ma il 13 Marzo 2020 la dichiarazione interessante proviene proprio da Borrelli, attuale capo della protezione civile, nel giorno in cui sono stato registrati numeri di decessi per Coronavirus molto alti; Borrelli ci dice: “In Italia ci sono 14.955 i contagiati, 2.116 più di ieri, con 250 i nuovi decessi” aggiungendo che: “I dati sulla mortalità vanno approfonditi con le cartelle cliniche dei deceduti: i pazienti morti con il Coronavirus hanno una media di oltre 80 anni, 80,3; le donne sono solo il 25,8 per cento. L’età media dei deceduti è molto più alta. Il picco di mortalità c’è tra 80-89 anni”. “La letalità, ossia il numero di morti tra gli ammalati, è più elevata tra gli over 80”, ha spiegato Silvio Brusaferro, capo dell’Istituto superiore di sanità (Iss). Solo due dei pazienti deceduti avevano meno di 40 anni e soffrivano di altre patologie gravi. “Uno aveva 39 anni ed una patologia neoplastica, è morto in ospedale, – chiarisce Brusaferro – un’altra donna di 39 anni è morta a casa, aveva diabete, obesità ed altri disturbi”.

Anche questa notizia, pur nella sua drammaticità, non è così negativa, tuttavia queste parole destano un certo stupore, perché effettivamente, il governo italiano, attraverso la protezione civile, ogni giorno, per ragioni di “trasparenza” fornisce all’intera stampa mondiale i numeri delle persone decedute risultate anche affette da Coronavirus, senza, tuttavia, specificare minimamente quale sarebbe stata l’effettiva causa di morte. Fornendo, quindi, dei dati molto allarmanti senza alcuna garanzia di certezza in merito alla effettiva incidenza del nuovo virus rispetto alla situazione clinica preesistente nel paziente al momento del decesso. Perplessità confermata nell’articolo del 10 marzo di Walter Ricciardi, di professione attore ma anche eminente consulente del governo e membro del Board Oms, il quale ha rappresentato che l’Italia ha un gravissimo problema di come riporta la mortalità rispetto ad altri Paesi e, alla domanda del perché di questa enorme differenza del caso Italia rispetto ad Paesi avanzati come la Sud Corea, la Francia e la Germania, Ricciardi ha risposto che “Questo lo si spiega con un insieme di fattori. Il primo è che noi in questo momento probabilmente sovrastimiamo la mortalità perché mettiamo al numeratore tutti i morti senza quella maniacale attenzione alla definizione dei casi di morte che hanno per esempio i francesi e i tedeschi, i quali prima di attribuire una morte al Coronavirus eseguono una serie di accertamenti e di valutazioni che addirittura in certi casi ha portato a depennare dei morti dall’elenco”.

Ha aggiunto Ricciardi che “Di fatto capita che si accerti che alcune persone siano morte per altre cause pur essendo infette da Coronavirus. Noi invece, per i noti motivi di decentramento regionale, ci atteniamo alle classificazioni dettate dalle regioni e soltanto nell’ultima settimana stiamo cercando di introdurre un correttivo con una valutazione da parte dell’Istituto superiore di sanità, che però non ha a disposizione le cartelle cliniche e quindi fa fatica a entrare nel merito delle cause del decesso. Tutto il meccanismo insomma è estremamente farraginoso. L’Iss, in altre parole, per il decreto ha il potere di investigare ma deve mandare i Nas per avere le cartelle. Non so se mi spiego”. Quindi, in Italia, per conoscere la verità delle cause di morte, un diritto per i familiari delle vittime e un dovere per le istituzioni deputate ai necessari approfondimenti anche per trovare le effettive difese dal virus, potrebbe essere necessario l’intervento dei carabinieri come detto da Ricciardi, il quale ha aggiunto un particolarmente significativo “non so se mi spiego” che fa ben intendere la poca affidabilità di questi dati che provengono proprio dalle istituzioni pubbliche deputate a fronteggiare questa situazione di emergenza nazionale, anche evitando di diffondere ulteriormente il panico.

Inoltre, in Italia l’Istat dichiara che nel 2016 sono stati registrati oltre 615mila decessi per malattie, quindi, più di 1.600 al giorno, in cui la causa polmonite incide per 9.413 persone decedute annualmente, quindi, 25 morti di polmonite al giorno. E purtroppo nel 2019 i casi sono aumentati ad 11mila con una media di 30 morti al giorno. Un’altra osservazione sempre dall’Istat: “Alla luce dei primi dati provvisori relativi al 2017 si osserva un massimo di mortalità nel mese di gennaio con oltre 75mila decessi che, congiuntamente a quanto occorso sul finire dell’ultimo bimestre 2016, è da ricollegare al picco influenzale dell’inverno 2016-2017”. Riepilogando, in Italia, così come in tutti i Paesi del mondo, ogni giorno muoiono molte persone per le malattie più varie, che sarebbero comunque decedute anche senza aver contratto il Coronavirus, ma che, a questo punto, rientrano a pieno titolo all’interno del dato numerico fornito dalla protezione civile, quindi, dal governo italiano, al mondo intero quali morti da Coronavirus. Quindi la conclusione è paradossale: tutte le persone morte in Italia negli ultimi giorni, di qualsiasi cosa siano decedute, agli occhi del mondo intero sono ufficialmente morte da Coronavirus, parola del governo italiano. Questo sembra lo sconfortante andazzo e solo da ieri qualche giornalista, nella consueta conferenza stampa delle 18 nei locali della protezione civile, ha cominciato a contestare i dati accusando di ritardo l’istituto superiore di sanità, in particolare, sul fatto che non ci sia ancora con esattezza il numero delle persone effettivamente morte da Coronavirus e solo da quello, senza ulteriori concause.

Se le cose stanno nei termini descritti dalla Gismondo, è chiaro che la gestione della fase comunicativa da parte della protezione civile e da parte dell’istituto superiore di sanità, lascia perplessi perché viene fornita all’opinione pubblica mondiale la notizia che in questo paese ci sono migliaia di morti da Coronavirus, mentre le cose non stanno assolutamente in questi termini. E il giudizio sull’operato del governo deve rimanere necessariamente sospeso in attesa dei numeri relativi alla mortalità negli altri Paesi, considerando che ad oggi la Corea del Sud presenta 8.160 casi e 73 morti, quindi, 159 casi per ogni milione di abitanti, la Germania ne presenta 4.599 con 9 morti quindi 59 casi per milione di persone, la Francia ne presenta 4.469 con 81 morti, quindi, 61 casi per milione mentre l’Italia con 2.500 morti su 25mila casi potrebbe addirittura superare la Cina che si avvia a venirne definitivamente fuori con 3.200 morti ed 82mila casi accertati.

È tuttavia evidente che i numeri presentano dei profili di contraddittorietà per cui è assolutamente legittimo chiedersi dove stiamo sbagliando e se in Cina siano più avanzati di noi nelle cure, ma questo potrebbe anche dipendere dal fatto che sono alle prese con il virus da più tempo rispetto a noi e quindi hanno avuto più tempo per organizzarsi. In attesa dell’evolversi dei dati dagli altri Paesi queste considerazioni potrebbero essere di aiuto per giudicare l’operato di chi ci ha raccontato un dato numerico del tutto inattendibile, mettendo a rischio il futuro della nazione, per via della eccessiva drammatizzazione di numeri che, a grandi linee, sembrano essere gli stessi da anni, anche se rispetto ai quali c’è stato sicuramente un sensibile incremento. E se dovesse essere riscontrato un intento speculativo da parte di qualcuno, gli organi giurisdizionali dovranno intervenire con il massimo rigore per accertare eventuali responsabilità. Ed un invito alla stampa ad essere rigorosa anche e soprattutto sulla diffusione del dato numerico perché ne va del nostro futuro e della nostra credibilità internazionale. È il momento di verità e chiarezza, e non ci possiamo più permettere confusione perché mai come in questo momento servono certezze.

 

 

 

Aggiornato il 18 marzo 2020 alle ore 13:23