Le contromosse Mediaset dopo la sentenza pro Vivendi

Si rimescolano le carte nel complesso sistema delle telecomunicazioni. Una serie di distinguo giuridici su produzione di contenuti e la loro trasmissione, sulla libertà di stabilimento e sul perimetro del settore delle comunicazioni elettroniche (da non escludere nel calcolo dei valori del Sic Internet, telefonia mobile ed altri servizi di radiodiffusione satellitare) sembrano imporre un rimescolamento del pianeta delle telecomunicazioni. In Italia e in Europa. Si vedrà nei prossimi mesi quante e quali conseguenze avrà la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che ha accolto il ricorso del gruppo francese Vivendi del bretone Vincent Bollorè sulle quote congelate in Mediaset. Era stata l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) a vietare a Vivendi di detenere contemporaneamente il 24,5 per cento di Tim, l’azienda Telecom Italia di telecomunicazioni che offre in Italia e all’estero servizi di telefonia fissa, mobile, pubblica, Ip, Internet e televisione via cavo e il 28,8 del gruppo Mediaset (29,9 per cento di diritti di voto).

Ora dopo 16 anni (la legge dell’ex ministro del governo Berlusconi Maurizio Gasparri è del 3 maggio 2004 poi trasformata in Testo unico con delega del Parlamento e le modifiche apportate dopo il messaggio motivato alle Camere dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi) si dovrebbe ricominciare da capo per fissare nuove norme in difesa del pluralismo, tenendo conto delle innovazioni tecnologiche. Per la Corte di Lussemburgo le norme contenute nell’articolo 43 del Testo unico della legge italiana costituiscono un ostacolo alla libertà di stabilimento sancita dall’art.49 dei trattati europei. La normativa italiana in definitiva “non è idonea a consentire l’obiettivo della tutela del pluralismo dell’informazione”. Le risoluzioni adottate nelle assemblee Mediaset sarebbero, secondo i francesi, illegittime. Ma il gruppo di Cologno Monzese si difende sostenendo di aver reagito ad aggressivi tentativi di scalata, rivolgendosi all’Agcom e invocando le limitazioni fissate dal sistema integrato delle comunicazioni, il cui valore nel 2018 aveva raggiunto i 18,4 miliardi di euro, pari a circa un punto del Pil italiano.

Le donne e gli uomini Fininvest-Mediaset (da Marina a Piersilvio Berlusconi, da Fedele Confalonieri a Niccolò Ghedini) hanno predisposto una serie di videoconferenze, dovendo Silvio Berlusconi stare in quarantena tra l’ospedale San Raffaele e Arcore) per preparare le contromosse. Considerate “sproporzionate le valutazioni” della Corte di giustizia in merito agli ostacoli alla libertà di stabilimento e alla tutela del pluralismo il gruppo del Biscione sta analizzando le possibilità di entrare a far parte delle operazioni in atto sul sistema della Rete unica in fibra se non varranno più i limiti del Sic. Protagonisti della partita finora sono stati Telecom con una importante partecipazione della Cassa depositi e prestiti (controllata dal Ministero dell’economia). Il via libera all’ingresso di Mediaset nel capitale dell’ex monopolista delle telecomunicazioni potrebbe avere riflessi politici ed economici nello sviluppo del riequilibrio economico post Coronavirus.

Vivendi è già dentro a questa operazione e potrebbe rimettere far contare, finalmente, quel 19,19 per cento di azioni trasferite dai francesi su decisioni dell’Agcom alla società terza Simon Fiduciaria. Se la legge Gasparri sarà azzoppata alle base delle nuove discussioni politiche ed economiche non ci saranno solo i principi della libertà d’informazione e del pluralismo ma anche quelli di una diversa impostazione dei rapporti economici.

Aggiornato il 07 settembre 2020 alle ore 11:42