Giusti principi e magistratura onoraria: soluzioni utili presuppongono ripensamenti radicali

L’ordinamento giudiziario italiano si regge, come altri in Europa, su un duplice pilastro: la magistratura togata e la magistratura onoraria, che è però anch’essa una magistratura professionale. La stessa Costituzione, del resto, prevede (articolo 106, comma 2) che “la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli”. La magistratura onoraria ha diverse componenti, ma nella giurisdizione ordinaria storicamente il suo ambito è quello della giustizia minore. In particolare, i giudici onorari dei Tribunali e i viceprocuratori onorari nelle Procure sono necessari in molti sedi esposte a periodiche gravi carenze di organico. Nella concreta organizzazione della magistratura onoraria l’impiego a tempo parziale e la temporaneità delle funzioni sono rimaste sulla carta e − di proroga in proroga − oggi operano migliaia di magistrati onorari con esperienza ultradecennale, spesso con impegni analoghi a quelli dei togati ma privi dei diritti del lavoratore dipendente (ferie, malattia, maternità, pensione).

La legge-delega 56/2016 e il decreto legislativo 116/2017 (riforma-Orlando) hanno avuto il merito politico di affrontare il problema. Tuttavia, a una prassi inveterata e ambigua − però efficace − vorrebbero sostituire un modello, vago, incentrato sull’Ufficio per il processo, trascurando la realtà operativa del lavoro giudiziario e dissipando l’apporto dei magistrati onorari. La costruzione di questo Ufficio richiede anni di evoluzioni culturali e − lo evidenziò nel febbraio del 2016 un parere del Csm (Consiglio superiore della magistratura), lo hanno ribadito 110 procuratori della Repubblica nel maggio del 2017 e numerosi presidenti di Tribunale nel gennaio del 2020 − ingrottare risorse al suo interno: “Rischia di integrare una struttura organizzativa inefficace, peraltro inutile nel settore penale, determinando uno “spreco” di professionalità già qualificate, formate e sperimentate, che la Giustizia non può permettersi: infatti i giudici onorari attualmente in servizio (…) svolgerebbero (…) attività di supporto del giudice togato che ben più utilmente vengono oggi demandate agli stagisti o ai tirocinanti, cioè a profili professionali in formazione”. La legge-delega 56/2016 concepisce l’Ufficio per il processo come un ambito di formazione per i giudici onorari reclutati dal 2017 da impiegare nelle sezioni civili e penali dei Tribunali. Il decreto legislativo 116/2017 ha inteso attuarla restringendo a casi eccezionali i procedimenti trattabili dagli onorari. Per la riforma del 2017 la costituzione di ruoli autonomi dei magistrati onorari è una extrema ratio a cui ricorrere, per i soli procedimenti pendenti, nel caso di notevoli scoperture dell’organico dei togati e di considerevoli arretrati nella trattazione dei processi ma solo se non sono praticabili misure diverse (articolo 11). Inoltre, esclude che i giudici onorari possano comporre i collegi delle sezioni civili specializzate e i collegi penali per alcuni gravi reati, anche se prevede che dei procedimenti civili possano essere delegati dai togati agli onorari (articolo 10). Ancora, le proposte di modifica del decreto legislativo del 2017 depositate presso la commissione Giustizia del Senato nell’agosto del 2020 dalle senatrici Valeria Valente ed Elvira Evangelista escludono che ai giudici onorari siano assegnati “procedimenti civili e penali di nuova iscrizione e di competenza dell’ufficio del giudice di pace”, pur consentendo al presidente del Tribunale di assegnare nuovi procedimenti civili e penali ai giudici onorari di lunga esperienza anche senza i rigidi presupposti sopra richiamati.

Questa normativa non risolve il fondamentale problema del ruolo funzionale complessivo della magistratura onoraria nel sistema giudiziario. In contrasto con il principio della autonomia del giudice (articolo 104 della Costituzione), il decreto legislativo 116/2017 concepisce i magistrati onorari come degli assistenti dei togati destinati a trattare affari semplici e ripetitivi loro delegati (ma senza norme che specifichino quali siano le controversie di questo genere), con un ruolo, diverso da quello che legge-delega aveva concepito come al servizio dell’Ufficio e non del magistrato togato. Né è chiaro in quale rapporto numerico starebbero le due figure di magistrati. Eppure, nella relazione illustrativa della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2017/2019, il Consiglio superiore della magistratura aveva ricavato dalla legge-delega indicazioni favorevoli a un ampliamento dell’utilizzazione dei magistrati onorari “consentendone, salve alcune eccezioni, non solo l’applicazione per la trattazione di procedimenti civili e penali del tribunale ordinario, ma anche l’impiego quali componenti di collegi giudicanti civili e penali”. Invece, con la forma di organizzazione che si vorrebbe implementare, il magistrato togato dovrà innanzitutto valutare la natura dei processi da delegare all’onorario, impartire le direttive da seguire, studiare l’intero fascicolo, trattare le udienze e poi sottoscrivere il provvedimento redatto dall’onorario. Il suo lavoro non risulta alleggerito; al contempo il ruolo dei magistrati onorari che da decenni operano autonomamente viene mortificato. In controtendenza, ai presidenti dei Tribunali l’articolo 30 consente di rinviare all’agosto del 2025 la costituzione dell’Ufficio per il processo e assegnare nuovi ruoli (sia civile sia penali) ai giudici onorari anche se non ricorrono le condizioni considerate dall’articolo 11. In questa evenienza, il giudice onorario dovrebbe occuparsi sia dell’attività giurisdizionale sia di quella propria dell’Ufficio per il processo e, poiché le due corrispondenti tipologie di indennità non sono cumulabili, avrebbe un aumento del suo lavoro ma non della sua retribuzione. La proposta governativa di modifica limita l’impegno dei magistrati onorari (sia del Tribunale che della Procura) a non più di tre giorni a settimana (uno dedicato all’udienza e gli altri a attività che le sono connesse o all’Ufficio per il processo o di collaborazione con il procuratore) ma prevede che essi possano cumulativamente nella stessa giornata svolgere attività sia giudiziaria sia nell’Ufficio con un raddoppio della loro indennità giornaliera, se la seconda attività supera le tre ore. Non sembra una soluzione efficiente: il magistrato onorario, dopo aver iniziato l’udienza allo scadere di una certa ora − trascurando il numero dei casi ancora da trattare e dei presenti in aula (avvocati, testimoni, parti civili) − dovrebbe trasferirsi nell’Ufficio per svolgere le attività assegnate dai togati così provocando il rinvio del procedimento. Né si comprende quando potrebbe dedicarsi alle attività connesse all’udienza (studio dei fascicoli, redazione di provvedimenti, et cetera), dato che dovrebbe occuparsene non nei tre giorni previsti ma nei residui giorni della settimana. Queste scelte possono risolversi in ostacoli all’amministrazione della Giustizia.

Intanto, le giuste rivendicazioni dei magistrati onorari di consolidata esperienza si sono tradotte in diverse iniziative, anche giudiziarie, condotte in varie sedi. Nel 2017 sono state in parte avallate dal parere n. 854/2017 del Consiglio di Stato che non ha escluso soluzioni nella linea di quelle adottate dalle legge 217 del 1974 (“sistemazione giuridico-economica dei vicepretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie”) e 516 del 1977 (“sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari reggenti sedi di preture prive di titolare da almeno quindici anni”). Secondo il Consiglio di Stato, è attuabile il loro trattenimento in servizio a tempo pieno e sino all’età pensionabile mantenendone le competenze anteriori alla riforma-Orlando, senza progressioni economiche ma nel rispetto dei parametri ritenuti loro applicabili dal Comitato europeo dei diritti sociali: ossia retribuzione equiparata, pro rata temporis, a quella del magistrato di ruolo all'inizio della carriera. Nel luglio di quest’anno la Corte di Giustizia dell’Unione europea (causa C-658/18 procedimento Ux contro Governo della Repubblica italiana) ha fissato dei criteri che conducono a riconoscere ai magistrati onorari in attività da molti anni i requisiti per qualificarli come lavoratori subordinati ribadendo il principio che, se un rapporto di lavoro, anche nei confronti dello Stato, si svolge di fatto con i caratteri della prestazione di lavoro subordinato, esso, indipendentemente dalla qualificazione che gli è data dal legislatore nazionale, va qualificato come tale, con tutti gli effetti giuridici che ne conseguono (come già ha affermato la Corte costituzionale dalla sentenza n. 115/1994 alla 76/2015). Pertanto, alle richieste dei magistrati onorari il legislatore deve rispondere rispettando la dignità e l’indipendenza delle funzioni svolte non occasionalmente né temporaneamente. Questo è un punto ormai chiaro e evidenziato in molti recenti interventi.

La sentenza della Corte di Giustizia ha portato al pettine i nodi dell’ambigua situazione deli magistrati onorari nel sistema italiano. Il decreto legislativo del 2017 e alcuni contenuti delle attuali proposte di modifica non sciolgono questi nodi, anzi vi aggiungono ulteriori intrecci. Occorre, allora, ripensare radicalmente la riforma della magistratura onoraria e affrontare le difficoltà rimandate seguendo criteri chiari, funzionali e giusti. Servono regole che concretizzino ragionevoli principi giuslavoristici e organizzativi inserendo i magistrati onorari in servizio al momento in cui è stato approvato il decreto legislativo n. 116/2017 in un Ufficio giudiziario monocratico di primo grado per i processi di minore importanza (da individuare con apposite norme), con un concorso per titoli per un numero di posti pari a quello dei magistrati onorari già in servizio, con un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, con uno stipendio adeguato, con i diritti previdenziali e assistenziali che spettano a un dipendente della pubblica amministrazione, con la cancellazione dagli ordini professionali e la conseguente ricongiunzione e ricostruzione (a carico dello Stato) della posizione previdenziale.  Chi svolge attività giurisdizionale stabile non può configurarsi come lavoratore autonomo assecondando l’idea − della quale ormai emergono tutte le controindicazioni in vari campi − dello Stato minimo che esternalizza anche le funzioni pubbliche essenziali. Né parametrare il trattamento dei magistrati onorari a quello dei togati significa equiparare le due carriere, che devono essere diverse e con condizioni di accesso, di impiego e status professionale diversi. Questa soluzione sgraverebbe i magistrati togati da competenze riguardanti cause di minore rilievo sociale e consentirebbe ai magistrati onorari (giudicanti e requirenti) di operare con la necessaria serenità.

Collocare magistrati onorari già esperti nell’Ufficio del processo in Tribunale o nell’analogo Ufficio della Procura (quasi come stagisti neolaureati, con un ruolo indefinito e con confuse gerarchie) non è funzionale a una migliore amministrazione della Giustizia. Invece, questi uffici possono più utilmente essere concepiti come un ambito per la formazione per tirocinanti e stagisti nella prospettiva di una diversa forma di selezione − della quale si avverte sotto diversi profili la necessità − per l’accesso alla magistratura onoraria e togata. Allora, ripensare radicalmente, in termini pragmatici e rispettosi dei giusti principi, la riforma della magistratura onoraria è anche una occasione per cominciare a considerare in collaborazione con le Università e con la Scuola superiore della magistratura − ma senza trascurare l’apporto del Consiglio nazionale forense − nuove vie di accesso alle professioni legali. In questa prospettiva, sembrano preferibili percorsi graduali fatti di esperienze pratiche (modello tedesco) e approfondimenti teorici (modello italiano) curati da istituzioni pubbliche e nell’ambito dei quali la selezione sia la conclusione di un itinerario (modello francese) che offra anche alternative a chi non ha successo, così da non disperdere risorse collettive e fatiche personali.

(*) Consigliere della Corte di Cassazione

Aggiornato il 23 dicembre 2020 alle ore 10:52