“A vent’anni ero ingenuo e credevo che l’obbedienza tra gli appartenenti alle forze dell’ordine fosse il valore supremo, oggi che sto in pensione dopo aver lasciato la polizia di Stato tanti anni fa, finalmente ho capito che la strage di Fiumicino era un evento troppo grande per me come per chi mi ha dato ordini assurdi; adesso spero solo che venga tolto il segreto di Stato su quel tragico evento e ho deciso di parlare in questo libro solo ed esclusivamente perché la gente sapesse”.

Antonio Campanile è lo “Sparatore” che dà il titolo al libro-inchiesta. Cioè l’unico agente di polizia italiano che osò – contravvenendo agli ordini del tutto irrazionali del proprio diretto superiore che pretendeva che tutti gli agenti appostati sui tetti dell’aeroporto assistessero in silenzio a un massacro che sembrava non dover finire mai – rispondere al fuoco. E per questo fu consegnato e punito. Invece che trattato da “eroe” come sarebbe andato “di moda” in seguito. Magari insignendo di quel titolo anche con un’eccessiva generosità. Cinque terroristi di Settembre Nero che tenevano in scacco un intero aeroporto sparando all’impazzata su chiunque capitasse loro a tiro. In quel tragico 17 dicembre del 1973.

Signor Campanile, come mai è rimasto nell’ombra sino ad oggi?

“Non mi capacitavo che lo Stato e la sua polizia potessero tenere un atteggiamento così ambiguo e reticente ma a 20 anni ero ingenuo e credevo di dover obbedire agli ordini. Col tempo ho cominciato a capire cosa si celava dietro l’atteggiamento del nostro Governo verso i responsabili della strage di Fiumicino”.

E poi perché ha deciso addirittura di venire allo scoperto con un libro?

“Perché troppi altri nel tempo, in tutti questi lunghissimi 47 anni, si sono sentiti in dovere di parlare al posto mio senza sapere ciò di cui parlavano. C’è chi lo ha fatto testimoniando davanti a un noto magistrato e chi si è spacciato per me in televisione. Ma lo “sparatore” di quel giorno come dice il titolo del libro sono e rimango io”.

Quel giorno però lei disobbedì alla consegna di non sparare sui terroristi. Perché?

“Lasciarli compiere un ulteriore massacro era inconcepibile, quelli si erano impadroniti dell’aeroporto e noi eravamo appostati sui tetti con le armi in mano a guardarli mentre sparavano all’impazzata, quando vidi assassinare a sangue freddo il finanziere Antonio Zara – che era pure un caro amico che lo incontravo tutti i giorni in servizio a Fiumicino – ho capito che quell’ordine di non sparare era assurdo e ho sparato stando bene attento a non colpire la fusoliera dell’aereo della Lufthansa; così ho fatto in modo che i terroristi decidessero di smetterla con quel Far West e si imbarcassero sul volo che poi hanno dirottato su Atene”.

Lei crede che le indagini su quell’attentato del 17 dicembre 1973 siano state depistate per coprire le responsabilità del Governo italiano e i patti segreti con il terrorismo Olp?

“Io non so più che credere ma mi batterò finché campo perché venga tolto il segreto di Stato su questa strage, che rimane la terza per numero di morti nella pur sanguinosa storia del terrorismo italiano. Io all’epoca di Gheddafi, dei libici, di Arafat e di Settembre nero conoscevo poco o niente. Con il tempo sono stato costretto a informarmi e a farmi una cultura. Oltre che un’idea ben precisa. Che però mi tengo per me”.

Aggiornato il 23 dicembre 2020 alle ore 13:33