La tutela del concepito tra diritto romano e costituzione ungherese

Che cosa c’è di così intollerabile, come è stato presentato sui media, nella decisione delle autorità ungheresi riguardanti l’informazione sulla vitalità del concepito per la gestante che intende abortire? Vi è di sicuro coerenza con la Costituzione in vigore dal 2011 nella nazione magiara e con una tradizione romanistica di protezione del nascituro.

I mezzi di comunicazione hanno dato in questi giorni grande risalto a una notizia riguardante l’Ungheria, che peraltro da qualche tempo si trova nell’occhio del ciclone, anche per altre vicende. Punto di partenza è il decreto, firmato dal ministro dell’Interno del Governo Orbán, che obbligherebbe i medici a fornire alle donne che vogliono interrompere la gravidanza la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del concepito”. La prova inequivocabile sarebbe data dal battito del cuore del bambino.

Questa è la notizia che ha suscitato aspre critiche. Se vogliamo fermarci ai sentimenti, alla psicologia, all’emotività possiamo affermare che ogni donna sa sentire il battito del cuore del bambino e sa anche cosa si prova quando non si sente più o quando si teme di non sentirlo più! In realtà, il battito però è spesso sovrastato dalla voce del politically correct, che ritiene esistente un diritto ad abortire. Un legislatore, un governante, responsabile rispetto a quanto accade nella società, deve dare risposte rigorose al popolo e non farsi influenzare da mode o opinioni, ma agire nel quadro dei principi: “Urge il ritorno alla luce chiarificatrice dei principi” (Giorgio La Pira).

Per la ricostruzione storica può essere utile ricordare alcuni principi contenuti nella nuova Costituzione ungherese firmata il 25 aprile del 2011, dal presidente della Repubblica, e il rapporto con i fondamenti del diritto europeo.

Con questa Costituzione si è dato al popolo ungherese un testo saldamente ancorato alla sua tradizione, che ne evocasse l’importante passato, e al tempo stesso mantenesse un approccio per dir così compromissorio (vedi il volume I fondamenti del diritto europeo e la nuova Costituzione ungherese, a cura di Maria Pia Baccari Vari, Modena 2014). Tutto ciò è riscontrabile in particolare nella parte della Costituzione dedicata ai principi fondamentali e in quella dedicata a libertà e responsabilità. Si dà, nel testo costituzionale, particolare attenzione ai principi in tema di matrimonio, famiglia e protezione della vita. Viene affermato il valore della famiglia come “base della sopravvivenza della nazione” e si proclama la difesa della vita “dal concepimento alla morte naturale”. Val la pena ricordare che già una sentenza della Corte costituzionale ungherese del 1991, la n. 64, aveva riconosciuto che il concepito è un essere umano.

Tornando alla Costituzione sotto la rubrica libertà e responsabilità, all’articolo II, si legge: “La dignità umana è inviolabile. Ognuno ha diritto alla vita e alla dignità umana, la vita del feto ha diritto alla protezione fin dal concepimento”. Pertanto, il provvedimento che ha suscitato scalpore in una parte dell’opinione pubblica è in linea con la Costituzione ungherese. Anzi, mostra una grande attenzione alla memoria delle sanguinose e tragiche discriminazioni che hanno lacerato l’Europa nella prima metà del secolo scorso e hanno dato origine alla promessa di non più tornare alla barbarie della discriminazione tra gli esseri umani; perché dunque infierire proprio sul più debole e inerme silenzioso protagonista della vita?

Il principio del concepito inteso come uomo ha trovato espressione anche in importanti atti internazionali ed è conforme alla convenzione sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, stipulata a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176, nel cui preambolo si afferma che, “come indicato nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale necessita di una protezione di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”.

Sotto molteplici aspetti si potrebbe ipotizzare una derivazione della normativa magiara dai principi del diritto romano, tanto studiato in Ungheria. Il principio di tutela del concepito è elemento essenziale di una tradizione culturale millenaria anche precristiana. I motivi, concernenti non solo la famiglia e i genitori, ma anche la società sono spiegati dagli antichi giuristi romani: “non dubitiamo che il pretore debba venire in aiuto anche del concepito, tanto più che la sua causa è più da favorirsi che quella del fanciullo: il concepito infatti è favorito affinché venga alla luce, il fanciullo affinché sia introdotto nella famiglia; questo concepito infatti si deve alimentare perché nasce non solo per il genitore, cui si dice appartenere, ma anche per la Res publica” (Ulpiano D. 37,9,1,15).

Tutto ciò sta a dimostrare che la normativa ungherese si impegna a trovare strumenti per aiutare la donna, in un momento drammatico, cercando soluzioni per proteggere la vita, anziché sopprimerla. Ogni Stato della vecchia Europa dovrebbe impegnarsi di più ad agevolare e sostenere la gravidanza della donna anziché limitarsi a medicalizzarla. Sottopongo come esempio emblematico che nelle diverse enciclopedie dell’Ottocento e metà Novecento alla voce Gravidanza si illustrava la posizione giuridica e la protezione della donna gravida, sotto molteplici profili; nelle più recenti enciclopedie si trova “Gravidanza (interruzione della)”. Riflettere seriamente su queste tematiche e trovare politiche di sostegno alla famiglia, ai giovani che vogliono responsabilmente pensare al futuro, dovrebbe essere compito di ogni governante anche nelle nostre consolidate democrazie occidentali.

(*) Docente di Diritto romano - Tratto dal Centro Studi Rosario Livatino

Aggiornato il 27 settembre 2022 alle ore 12:28