I lavoratori poveri in Italia

Il numero dei lavoratori poveri o “working poors” in Italia ha assunto dimensioni preoccupanti, come risulta dai dati pubblicati da Eurostat e dall’Istat. Il fenomeno riguarda circa un quarto dei lavoratori che ha una retribuzione individuale bassa, cioè vive in un nucleo familiare con un reddito netto equivalente inferiore al 60 per cento del reddito disponibile equivalente medio nazionale. Adottare misure a sostegno dei lavoratori poveri appare quindi urgente, anche in ragione della situazione di emergenza determinatasi a causa della crescita dell’inflazione.

Il fenomeno del lavoro povero dipende principalmente dall’interazione di due fattori: 1) il primo concerne la qualità dell’occupazione del singolo lavoratore, in particolare la retribuzione, la stabilità lavorativa e le specifiche caratteristiche del rapporto di lavoro; 2) la seconda riguarda la composizione del nucleo familiare. L’incidenza della povertà è infatti più alta per le famiglie con un maggior numero di componenti, ad esempio quelle che hanno tre o più figli (22,8%).

Le cause del fenomeno, pertanto, non sono dovute esclusivamente alla bassa retribuzione, sebbene il problema sia molto grave in Italia, visto che tra il 1990 ed il 2020 nel nostro paese si è registrata una diminuzione del salario medio del 2,9 per cento, mentre negli altri paesi europei in media è aumentato nello stesso periodo. In Italia il rischio di povertà lavorativa è più marcato per i lavoratori stagionali, i lavoratori assunti con contratto a tempo parziale, nonché quelli autonomi, e aumenta notevolmente nei nuclei familiari con figli in cui c’è un solo percettore di reddito. Particolarmente penalizzate sono le lavoratrici con figli piccoli, spesso costrette a dimettersi o a scegliere il part-time involontario per poter far fronte agli impegni familiari.

Un altro grave problema che contribuisce alla povertà lavorativa è costituito dai cosiddetti “contratti pirata”, ossia quegli accordi stipulati da alcune imprese e rappresentanze sindacali “di comodo” che in alcuni settori derogano in peius ai minimi salariali previsti dalla contrattazione collettiva.

Ne consegue che per contrastare il fenomeno del lavoro povero è necessario garantire ai lavoratori dei minimi salariali adeguati, e quindi ricorrere a diversi strumenti, come messo in evidenza nella relazione elaborata dal gruppo di lavoro istituito con Decreto ministeriale n. 126 del 2021. Essi consistono: 1) nell’estendere a tutti i lavoratori la disciplina dei contratti collettivi, o comunque nell’aumentare la copertura della contrattazione collettiva; 2) nell’introdurre un salario minimo per legge (nell’area Ue il salario minimo esiste in 21 Stati su 27) generalizzato, o comunque in settori specifici; 3) nell’aumentare la conformità dei livelli retributivi adeguati attraverso una più efficace attività ispettiva e di vigilanza; 4) nell’introdurre l’in-work benefit, ossia una misura di sostegno al reddito specifica rivolta a chi percepisce redditi da lavoro bassi.

Essendo il lavoro povero una piaga che colpisce soprattutto i nuclei familiari monoreddito con figli, resta fondamentale una riforma dell’Irpef che vada a vantaggio dei contribuenti poveri con figli, nonché una revisione dei criteri di accesso al reddito di cittadinanza, che attualmente penalizzano le famiglie con minorenni, come risulta dalla Relazione curata dal Comitato scientifico istituito ad hoc con Decreto Ministeriale n. 49 del 15/03/2021.

Va altresì osservato che il problema del lavoro retribuito in modo poco dignitoso non riguarda solo il lavoro subordinato e parasubordinato ma anche quello autonomo, in particolare le partite Iva a basso potere contrattuale. Nel settore delle professioni, per esempio, l’abolizione delle tariffe professionali – iniziata con la legge n. 248/2006 (c.d. Legge Bersani) e completata con la legge n. 27/2012 – lasciando la determinazione del compenso alla libera contrattazione tra il professionista ed il cliente, ha penalizzato soprattutto i giovani, e determinato una concorrenza al ribasso, con effetti sulla qualità delle prestazioni erogate. È auspicabile che venga finalmente introdotto dal nuovo Parlamento l’equo compenso quale parametro inderogabile nella determinazione dei compensi professionali, il quale è stato oggetto della proposta di legge n. 3179 del 25/06/2021 a firma Meloni ed altri, che però nella scorsa legislatura non è andata in porto.

(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino

Aggiornato il 19 ottobre 2022 alle ore 12:04