Disabilità e legalità: una storia recente di affermazioni

Il presente tempo legislativo e quelli a venire, trasversalmente e intersezionalmente, hanno l’onere di affrontare in modo aggiornato ed evolutivo – e non in modo manieristico – il tema della tutela dei disabili, nelle loro diversità di bisogni e prospettive, all’interno della società contemporanea italiana, focalizzandosi sugli aspetti socio-dinamici, culturali e di conseguenza giuridici.

Punto di partenza e di costante confronto con ogni dato legale è la Costituzione italiana, all’interno della quale vengono ricercati progressivi spunti evolutivi, per l’affermazione di una cultura delle libertà esercitabili da tutti. La legge numero 104/1992, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, rappresenta nelle sue evoluzioni il baluardo primario da cui trarre sempre un’ispirazione riformistica, non solo di protezione, bensì in primo luogo di valorizzazione dell’universo-persona. La lettura di questa legge, da parte dei cittadini interessati e non solo da parte dei giuristi, deve essere accompagnata dalla ricerca di quel senso civico, personologico e neo-costituzionale, che possa contribuire a tenere sveglio lo spirito laico, realista e autocritico di cui la post-contemporaneità necessità.

Dato che vi sono attività della vita individuale e sociale che non possono restare inesercitate o trascurate, poiché attengono alla conservazione evolutiva stessa della vita nonché alla realizzazione dei bisogni personali, essenziali o edonistici che siano, la scienza medica, la scienza psicologica, le scienze sociali e il diritto si alleano. Le scienze si alleano, di fronte al mobile concetto di disabilità, per garantire studi e conseguenti legislazioni, per consentire la realizzazione delle personalità nella loro pari dignità ed attraverso le distinte abilità, senza esclusioni aprioristiche o irragionevoli.

Già nel Codice civile del 1942, attualmente ancora in vigore attraverso l’opera di reinterpretazione nei vari decenni, sono presenti istituti volti a proteggere alcune forme di disabilità. Gli istituti più radicali della codificazione del ’42, ossia l’interdizione e l’inabilitazione, hanno trovato nella legge numero 6 del 2004 una propria relativizzazione, o addirittura una marginalizzazione. La legge numero 6 anzidetta, infatti, ha istituito la figura dell’amministrazione di sostegno, sicuramente più duttile ed elastica, adattabile ai bisogni della persona così come essa concretamente è, mutevole in sé nei propri percorsi di cognizione, condivisione ed abilità.

Sul versante penale, il codice Rocco dell’inizio degli anni Trenta del ’900, al primo comma dell’articolo 96 ha disposto la non imputabilità del sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto di reato, a causa della sua “infermità” non ha la capacità d’intendere o di volere. Il secondo comma dell’articolo 96 ha aggiunto che se la capacità d’intendere o di volere risulta grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita. In tempi molto più recenti, con la legge numero 95 del 2006, il legislatore ha sancito che in tutte le disposizioni legislative vigenti il termine “sordomuto” viene sostituito con “sordo”.

Ampia è ormai la legislazione sviluppatasi sul tema delle disabilità, e da ultimo la tendenza di alcune correnti progressiste è quella di far evolvere ulteriormente l’ordinamento giuridico, per apprestare una protezione ulteriore e rafforzata – anche di tipo penale – a favore delle persone in ragione di determinate loro diversità, troppo spesso oggetto d’ingiuste discriminazioni o violenze.

Il percorso normativo dagli anni ’70 del secolo scorso a oggi è stato variegato. Sul piano dell’assistenza e della previdenza pubblica, si sono susseguite la legge del 30 marzo 1971, numero 118, in favore dei mutilati e degli invalidi civili, la legge dell’11 ottobre 1990, numero 289, sulle indennità di accompagnamento di cui alla legge numero 508/1988, con norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai non vedenti civili e agli allora cosiddetti sordomuti, oltre alla istituzione di una indennità di frequenza per i minori invalidi.

Se le anzidette misure legali hanno inciso sulla sensibilizzazione dello Stato italiano in materia di disabilità, la pietra miliare nel campo della protezione e realizzazione sociale delle persone diversamente abili si è avuta soltanto con la legge numero 104 del 5 febbraio 1992, ossia con la “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.

In materia sanitaria, l’articolo 2 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale (legge 23 dicembre 1978, numero 833), ha sancito che il Servizio sanitario nazionale nell’ambito delle sue competenze persegue “la promozione della salute nell’età evolutiva, garantendo l’attuazione dei servizi medico-scolastici negli istituti di istruzione pubblica e privata di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, e favorendo con ogni mezzo l’integrazione dei soggetti handicappati”.

A proposito di formazione di alto livello per tutti, nonché a proposito di differenziazioni trattamentali in funzione di riequilibrio fra le possibilità, le abilità ed i punti di partenza, è interessante rilevare che la legge numero 390 del 1991 aveva già sancito quanto segue: “Possono essere previste disposizioni particolari per l’accesso degli studenti portatori di handicap ai benefici ed ai servizi regolati dalle leggi in materia nonché la possibilità, in relazione a condizioni di particolare disagio socioeconomico o fisico, di maggiorazione dei benefici”.

In materia di lavoro, a fronte della sensibilità intersezionale che si accresceva nella società italiana, progressivamente, tra gli anni ’50 e gli anni ’80 del Novecento si possono ricordare le seguenti leggi: la legge numero 308 del 1958 (“Norme per l’assunzione obbligatoria al lavoro dei sordomuti”), la legge numero 482 del 1968 (“Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”), la legge numero 403 del 1971 (“Nuove norme sulla professione e sul collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi”), la legge numero 113 del 1985 (“Aggiornamento della disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti”). Gli anni ’90 hanno caratterizzato un periodo di ulteriore progressione in avanti, sulla pista dell’affermazione dei diritti civili, in tema di abilismo differenziato o, secondo le espressioni linguistiche del periodo in questione, in tema di portatori di handicap. Si pensi così al decreto legislativo numero 29 del 1993, che all’articolo 42 ha regolato le “assunzioni obbligatorie delle categorie protette” oltre al “tirocinio per portatori di handicap”.

Anche in materia di edilizia, il legislatore ha previsto delle importantissime misure di accessibilità e democrazia per tutti, diversamente abili inclusi. La legge 9 gennaio 1989, numero 13, ha previsto le “Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati”; il decreto del Presidente della Repubblica del 24 luglio 1996, numero 503, è intervenuto in materia di eliminazione delle barriere architettoniche in edifici, spazi e servizi pubblici.

La direttiva del presidente del Consiglio dei ministri, del 27 gennaio 1994, sui princìpi per l’erogazione dei servizi pubblici, al comma 2 dell’articolo 1 ha disposto che l’eguaglianza “va intesa come divieto di ogni ingiustificata discriminazione e non, invece, quale uniformità delle prestazioni sotto il profilo delle condizioni personali e sociali”. Il comma anzidetto nella sua seconda parte ha poi specificato che “i soggetti erogatori dei servizi sono tenuti ad adottare le iniziative necessarie per adeguare le modalità di prestazione del servizio alle esigenze degli utenti portatori di handicap”. A proposito di sport, il decreto ministeriale del 4 marzo 1993 ha apprestato una disciplina specifica sulla “Determinazione dei protocolli per la concessione dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica alle persone handicappate”.

Sul piano della tutela patrimoniale, e su quello della tutela di interessi anche non patrimoniali attraverso la destinazione di risorse materiali, il legislatore ha apprestato una disciplina civile apposita, prima con una interpolazione codicistica nell’articolo 2645-ter del Codice civile; poi con la cosiddetta legge sul dopo di noi (numero 112 del 2016), quest’ultima durante il Governo Renzi.

La legge, che ha rappresentato un salto di qualità nella vita e nel modo di rapportarsi alle diversità per differenze abilistiche, è stata la numero 104 del 1992. I fini fortemente personologici, autodeterminazionisti, democratici e accessibilisti, che la legge 104 ha nella propria ratio sono posti a tutela delle soggettività fragili e delle individualità portatrici di peculiari diversità nelle abilità. Quei fini direzionano lo stesso potenziale interpretativo ancora inespresso, sul versante applicativo. Una visione interpretativa di quella legge, per farsi progressivamente evolutiva e al passo con i tempi della tecnologizzazione nelle civiltà metropolitane e provinciali, centrali e periferiche, deve costantemente tenersi al passo delle nuove frontiere cibernetiche della socialità. Veloci possono essere le occasioni di conoscenza interpersonale fra individui sui social network e nelle chat, anche per i diversamente abili: veloci dovranno essere pertanto le modalità di spostamento fisico da una parte all’altra nelle città, in autonomia, per realizzare dal vivo ogni occasione buona. Queste “nuove” frontiere cibernetiche fanno viaggiare la società a velocità maggiori. E in favore dei cosiddetti disabili devono essere aperti nuovi spazi garantistici, pratici, partendo dalla lettura applicativa dei princìpi fondamentali di cui agli articoli 2 e 32 della Costituzione italiana. L’articolo 2 sancisce il principio di solidarietà sociale, riconoscendo la centralità della simmetria tra diritti inviolabili e doveri inderogabili. L’articolo 32, riconoscendo la salute come fondamentale diritto dell’individuo ed interesse della collettività, connette in modo integrato nonché sinergico la sfera individuale con quella sociale.

L’articolo 2, sancendo che la Repubblica (costituita da Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni) richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, tende a funzionalizzare la sfera collettiva rispetto alla sfera delle individualità, nel momento in cui riconosce e garantisce a queste ultime il diritto fondamentale ad una vita in salute. L’emergenza pandemica da Covid-19 ci ha insegnato quanto sia importante quest’ottica non meramente organicistica, poiché anche una sola persona può fare e fa la differenza in un contesto associato, relazionale, collettivo. Gli sforzi e gli strumenti della collettività si distaccano da ogni organicismo autoreferenziale e finzionisticamente sovrastrutturale, per farsi a misura d’individuo, senza escludere nessuno.

La concezione di salute, tra l’altro, è stata investita da un rinnovamento di senso. Attualmente, la salute non denota uno stato di mera assenza di patologie nella persona, ma in modo omnicomprensivo essa si riconnette a una sfera di effettiva realizzazione bio-psichica di ogni io, con se stesso e nella società. Con la semplicità di una serie organica di norme, generali ed astratte per definizione in un sistema di civil law, la legge numero 104 del 1992 ha declinato un paradigma di garanzie personologiche. Queste ultime si presentano come specifiche e aperte, anzitutto all’opera di adattamento e personalizzazione, in virtù delle esigenze che presenta ciascuna abilità alterata (o disabilità).

Aggiornato il 06 dicembre 2022 alle ore 09:56