Una magistratura che fa paura

Niccolò Figà-Talamanca, responsabile della ong No Peace Without Justice, arrestato nell’ambito dell’inchiesta belga sul Qatargate, viene rilasciato senza condizioni. Era in carcere, da circa due mesi, in Belgio.

Non ho elementi per dare giudizi sull’inchiesta, se non quelli forniti dai giornali:

a) Figà-Talamanca viene arrestato. Sul suo conto non filtra nulla. Non ci sono, per capirci, fotografie che mostrano borse con mazzette di euro;

b) dopo svariati giorni dall’arresto, si provvede a sequestrare un immobile in Valle d’Aosta: il sospetto è che sia stato acquistato con denaro di provenienza illecita. Si accerta che si tratta di prestiti di famiglia e che si è acceso un mutuo a normalissime condizioni. La documentazione era facilmente reperibile, lo si poteva fare subito. Non lo si è fatto;

c) la scarcerazione arriva dopo due mesi di detenzione, perché – così riferiscono i giornali – il “pentito” Antonio Panzeri scagiona Figà Talamanca. Cosa se ne ricava? Se Panzeri non si “fosse pentito”, Figà Talamanca sarebbe rimasto ancora in carcere, per chissà quanto tempo.

Se la scarcerazione di Figà Talamanca si deve alla parola del “pentito” (e quella parola è bastata), è di tutta evidenza che l’impianto accusatorio era, per usare un eufemismo, fragile. Il magistrato belga non disponeva, a carico di Figà Talamanca, di alcun elemento che non fosse una sua congettura, un suo sospetto. Più brutalmente: intanto ti metto in carcere, forse parli e confessi. Così ho le prove che mi servono per giustificare l’arresto.

Peccato: questa volta il “metodo” italiano non ha funzionato. Un risultato però lo si è ugualmente raggiunto: anche in Belgio, come in Italia, adesso sappiamo che c’è una magistratura che fa paura.

Aggiornato il 06 febbraio 2023 alle ore 10:29