Nanny State Index: quanto paternalismo c’è in Italia?

Siamo abituati a vedere l’Italia in coda alle classifiche. Non fa eccezione l’edizione 2023 del Nanny State Index, che colloca l’Italia al ventottesimo posto su trenta Paesi europei esaminati, ma per una volta si tratta di una buona notizia. L’indice, curato da Chris Snowdon per conto dell’Institute of Economic Affairs e di Epicenter, misura infatti il grado di paternalismo nella regolamentazione degli stili di vita. L’Italia, sotto questa particolare lente, appare nel complesso rispettosa delle scelte personali degli individui, cercando un ragionevole bilanciamento tra le politiche di protezione della salute pubblica e il diritto di ciascuno a condurre la vita che preferisce. Meglio di noi fanno solo Germania e Repubblica Ceca, mentre le nazioni più repressive sono Turchia, Norvegia e Lituania. In generale, i Paesi dell’Europa del Nord appaiono più severi di quelli dell’Europa meridionale e centro-orientale, praticamente in tutti gli indicatori considerati.

Il Nanny State Index si concentra su quattro aree principali: la regolamentazione delle bevande alcoliche, i prodotti a base di nicotina, le sigarette elettroniche e l’alimentazione. In ciascuno di essi indaga, da un lato, il ruolo e il peso della fiscalità e, dall’altro, l’esistenza di restrizioni più o meno severe. L’Italia è tradizionalmente un posto tollerante con le preferenze individuali: in tre indicatori su quattro (alcolici, tabacco e sigarette elettroniche) ottiene un punteggio prossimo a quello massimo. Solo in un caso, le abitudini alimentari, il punteggio è meno netto, ma vede comunque un posizionamento nella parte bassa della lista. Sul banco degli imputati c’è soprattutto la “tassa fantasma”, ossia la Sugar Tax che – assieme alla Plastic Tax – da diversi anni è stata formalmente introdotta senza mai essere realmente attuata. Sotto questo profilo, un chiarimento definitivo sulle intenzioni del governo sarebbe quanto mai opportuno.

Il messaggio complessivo del lavoro è in chiaroscuro. Se infatti l’Italia e altri restano ancorati a un approccio attento ai Trade-off, molti Paesi vedono un’escalation di norme e regolamentazioni inutilmente restrittive. Il fatto è che, come mostra Snowdon nell’introduzione al rapporto, non sembra che il proibizionismo funzioni, neppure in questo caso. Non solo il paternalismo di Stato non presenta alcuna correlazione con l’aspettativa di vita, ma neppure con indicatori più diretti quali la prevalenza del fumo o l’utilizzo di alcol. Anzi, il Paese che in questi anni ha conosciuto il maggior successo nel contrasto al fumo, cioè la Svezia, ha seguito una tattica completamente opposta a quella del pugno di ferro: ha cioè fatto leva sulla disponibilità di prodotti alternativi e meno dannosi (quali le sigarette elettroniche, lo Snus o, più recentemente, le bustine di tabacco per uso orale). Non è un caso se, pur essendo come altri Paesi nordici collocata nella parte alta della classifica, Stoccolma può esibire un punteggio assai favorevole per quanto riguarda la regolamentazione del tabacco. Proprio l’esperienza svedese suggerisce l’importanza quantomeno di studiare una strategia basata sulla riduzione del rischio, anziché sul puritanesimo.

(*) Direttore Ricerche e Studi dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 06 giugno 2023 alle ore 11:15