Rapporto Invalsi, dispersione scolastica e débâcle demografica

Nel profluvio di alti lai, alcuni peraltro condivisibili, seguiti alla pubblicazione del Rapporto Invalsi del 2023, non si è prestata grande attenzione a un dato certamente positivo. Il rapporto identifica come “rischio di dispersione implicita” la condizione in cui si trova lo studente che “consegue traguardi lontani da quelli attesi dopo otto anni di scuola” (vale a dire non supera il livello 1 o 2 sia in Italiano che in Matematica e non consegue in entrambe le sezioni della prova di Inglese il livello A2) e come “dispersione implicita” quella in cui “lo studente consegue traguardi molto lontani da quelli attesi dopo tredici anni di scuola, ossia si ferma al livello 1 o 2 sia in Italiano sia in Matematica e non raggiunge in entrambe le parti della prova di Inglese il livello B1”. Ebbene, al termine del primo ciclo d’istruzione, la quota di studenti a rischio di dispersione implicita, dopo l’incremento tra il 2019 e il 2021 (dal 15,1 per cento al 16,6 per cento), ha registrato una sensibile diminuzione, portandosi al 15,5 per cento nel 2022 e al 13,8 per cento nel 2023. Stesso trend, anche se più contenuto, si rileva alla fine del secondo ciclo d’istruzione, con una percentuale di studenti in condizione di dispersione implicita che scende dal 9,8 per cento nel 2021 all’8,7 per cento del 2023.

Non solo, al termine della scuola secondaria di primo grado gli allievi “a rischio” tra gli studenti immigrati di prima generazione sono sì il doppio (26 per cento) dei loro compagni italiani, ma quelli di seconda generazione non sono più a rischio di questi ultimi (entrambe le tipologie si attestano attorno al 13 per cento). Se poi volgiamo l’attenzione alla scuola secondaria di secondo grado, scopriamo che la percentuale di studenti nati in Italia, ma da genitori nati all’estero in condizione di dispersione implicita è inferiore (6,5 per cento) a quella degli studenti nati all’estero da genitori a loro volta nati all’estero (8,1 per cento). Il rischio di dispersione degli studenti immigrati, di prima o seconda generazione, è comunque inferiore a quello degli studenti italiani (8,5 per cento). Quest’ultimo dato è sicuramente notevole. Se confermato negli anni a venire, sperabilmente con la somministrazione di prove che superino le obiezioni mosse a quelle fino a oggi approntate (a mero titolo esemplificativo), potrebbe essere la spia di una robusta capacità di integrazione della scuola italiana tanto più necessaria quanto più la débâcle demografica del nostro Paese imporra sempre più massici afflussi di immigrati (perlomeno, agli occhi di chi dovesse ritenere obiettivo auspicabile che la penisola continui a essere abitata).

Aggiornato il 27 luglio 2023 alle ore 14:34