Normalità e discriminazione: due parole da non pronunciare

Normalità non è un giudizio morale. È un concetto statistico rappresentabile, graficamente, nella Curva di Gauss. Questa affermazione non si riferisce specificamente alla sfera sessuale ma presumo che, data l’ipersensibilità all’argomento, suscitata dal bestseller del mese, potrebbe provocare l’irritata reazione di alcuni militanti dell’agenda gender, sempre pronti al vittimismo. Non si può espungere, su base ideologica, il concetto di normalità dalla statistica, perché la matematica non ha pregiudizi o riserve morali. Ad esempio, è normale una durata della gravidanza tra 37 e 41 settimane. Parti prematuri e post termine sono anormali, ma, non per questo, associano un giudizio morale contro madre o nascituro. È invalsa nell’uso l’accezione negativa del termine “discriminare” che, in realtà, significa: “Distinguere, diversificare o differenziare tra persone, cose, situazioni, comportamenti, meriti e demeriti”.

La discriminazione – che significa riconoscere le differenze – non è “deprecabile”, salvo quando sia ingiusta, perché non supportata da dati oggettivi. Abbiamo uguali diritti ma non siamo uguali: così come non vogliono essere uguali a noi quelle minoranze che ostentano, con giusto orgoglio, la propria diversitàsessuale, etnica, religiosa, politica – così la maggioranza, nei diversi campi, vuole mantenere, con lo stesso orgoglio, il diritto alla diversità rispetto a esse. Come mai quelli del “futuro è nelle diversità” o di “le diversità sono bellissime” vogliono tutti uguali, nel pensiero, opinioni, linguaggio, scelte? L’opposto di diversità è indistinguibilità.

Non normalità.

Eppure vari commentatori pretendono che la realtà oggettiva non esista. Sull’identità di genere chi affermi che, sotto il profilo genetico, cromosomi XX significhino femmina e XY significhino maschio, è accusato di oscurantismo o, peggio, di “genderfobia” e incitamento all’odio. Gli esperimenti di equalizzazione, su base ideologica, sono falliti, ormai, quasi ovunque con la caduta del muro. Sopravvivono, con esito disastroso, nella Corea del Nord di Kim Jong-un. In conclusione, non credo che la pretesa di “normalizzare” le diversità – per esempio purgando, ope legis, definizioni, linguaggio o opinioni – faccia un buon servizio a nessuna delle parti in causa.

Aggiornato il 29 agosto 2023 alle ore 11:11