L’eredità criminale di Messina Denaro: analisi e quesiti

Il giorno dopo la morte di Matteo Messina Denaro viene inaugurato il capitolo delle riflessioni. Qual è stata la sua dimensione criminale? Quale quella finanziaria? Che ruolo ha avuto la politica? A chi andrà l’eredità del suo potere? Alessandra Dino, docente di sociologia della devianza all’Università di Palermo, ha firmato numerosi saggi sulla mafia e sull’ultimo boss stragista di Cosa nostra. “Lui pensava – dice la studiosa – di portare la mafia all’interno di uno scenario internazionale in cui Cosa nostra avrebbe potuto riprendere forza con il volto completamente modificato di una struttura federata con altre mafie e vicina a un modello americano legato ai segreti delle stragi e ai rapporti con la politica, la massoneria e i poteri forti”. Ma per un’operazione del genere occorrono leader forti e capaci di governare il transito. “Sicuramente i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano – è il giudizio della sociologa – sarebbero in grado di svolgere questa parte, ma sono in carcere e chissà per quanto tempo vi resteranno. Però è strano che il loro portavoce (Salvatore Baiardo, ndr) abbia annunciato in anticipo l’arresto di Matteo Messina Denaro presentato quasi come un sacrificio alla divinità di Cosa nostra, il tributo da pagare per una nuova organizzazione”.

Ora che con Messina Denaro si chiude una lunga stagione criminale si fanno avanti, segnala Dino, nuovi soggetti in grado di muoversi al confine tra il lecito e l’illecito. “Giovani di famiglie mafiose hanno intrapreso studi e percorsi formativi per assumere le competenze di nuovi manager. E questa è una delle strade che per l’alta mafia si aprono sul dopo Messina Denaro”. Per la bassa mafia le prospettive lasciano pensare invece a un futuro più incerto per effetto delle pressioni delle forze dell’ordine che si sono fatte molto più forti e più efficaci. “Per questo – secondo Alessandra Dino – è più complicato riorganizzare il sistema come noi lo conosciamo e per questo si può ipotizzare che la sopravvivenza di Cosa nostra possa venire dalla prima strada. La seconda la trasformerebbe in una organizzazione criminale locale con caratteristiche molto più legate al territorio che a una dimensione più ampia”. E il rapporto con la ‘ndrangheta? È pensabile che la mafia abbia perso terreno tanto da essere tributaria del potere delle cosche calabresi? Alessandra Dino non ha mai creduto alla subordinazione. E spiega: “Ci sono state fasi alterne. Ma c’è senz’altro e resta un legame fortissimo tra Cosa nostra e ‘ndrangheta. Ce lo dicono i processi per le stragi del 1992 e del 1993. E va ricordato pure che Totò Riina andava in Calabria per mettere pace tra le cosche”.

Durissima l’analisi di Rita Dalla Chiesa, nel corso di Stasera Italia, su Rete 4. La vicepresidente dei deputati di Forza Italia è figlia del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia a Palermo il 3 settembre 1982, insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. “Mio padre – afferma l’ex conduttrice tivù – era un uomo di Stato, un uomo che credeva nelle istituzioni, nel lavoro che veniva fatto da se stesso in primis e dai suoi uomini. Quando io sento dire che Matteo Messina Denaro si sarebbe consegnato, è un modo per minimizzare il lavoro e la fatica che hanno fatto gli uomini delle forze dell’ordine, che per tanti anni l’hanno cercato”. Rita Dalla Chiesa è sconcertata dalla “mitizzazione” del padrino. “Vorrei – ha proseguito – non sentire più parlare di Messina Denaro come una leggenda. È una profonda mancanza di rispetto nei confronti di quelli che hanno sofferto a causa sua e delle persone come lui. Purtroppo ci sono registi, scrittori, fiction che hanno creato i miti dell’uomo di mafia e di camorra, che ha belle macchine, belle donne. Questi sono simboli che hanno fatto breccia nei più deboli”.

Amara l’analisi di Salvatore Catalano. Il fratello di una delle vittime della strage di via D’Amelio, fratello di Agostino, uno degli agenti di scorta del giudice Paolo Borsellino, è intervenuto al Tgr Sicilia. “Psicologicamente – afferma – mi sento come un peso, perché è morto così presto: è come se lui avesse vinto. Anzi, ha vinto. È inutile negare la realtà dei fatti: ha vinto. È stato 30 anni latitante e poi nemmeno 10 mesi in galera, ed è morto. È quello che voleva lui. Ha fatto meno ergastolo di noi familiari”. Il magistrato Massimo Russo, oggi alla Procura dei minori a Palermo, si pone un l’interrogativo: “Ora che Matteo Messina Denaro è morto, l’eredità del suo potere criminale a chi andrà?”. Russo, per un decennio, ha coordinato indagini nella mafia trapanese da sostituto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Originario di Mazara del Vallo, Russo spiega che “nel dopo Messina Denaro l’eredità del potere sarà una questione cruciale per la mafia in provincia e non solo. Ci sarà una successione in ambito prettamente familiare, oppure coinvolgerà altre persone? Bisognerà, certamente, continuare a indagare su tutto questo e sul suo patrimonio”. Il magistrato sottolinea “l’importanza che ha avuto la mafia trapanese a fianco di quella corleonese, diventandone la forza motore, da qui l’importanza del ruolo anche dei Messina Denaro”. E aggiunge: “Con la morte di Matteo Messina Denaro è saltato il tappo e quindi i cittadini non hanno più ragione d’avere paura. Le indagini danno contezza che lui interloquiva a più livelli e la sua presenza condizionava il tessuto economico e sociale. Ora, per l’intera provincia, è il tempo del riscatto: non si può continuare a demandare alle forze di polizia e alla magistratura. È necessario mettere in campo tutte le iniziative che seminano bene, sviluppo e cultura della legalità. Il cambiamento interpella ciascun cittadino: adesso è tempo di agire”.

Intanto, Poco prima dell’inizio dell’autopsia sul corpo di Matteo Messina Denaro, affidata al medico legale Christian D’Ovidio, professore universitario a Chieti, l’ingresso principale dell’obitorio resta presidiato da forze dell’ordine di Carabinieri, Polizia, Esercito, Finanza e Polizia Penitenziaria. Schierate nelle prossimità anche alcune troupe televisive in attesa dell’uscita della salma del boss che verrà trasferita su un carro funebre via terra in Sicilia. Il carro non ha ancora raggiunto l’ospedale dell’Aquila. L’organizzazione logistica, al momento non sembra turbare la vita e il lavoro di altri utenti o dipendenti dell’ospedale, così come degli studenti delle facoltà della zona. Non esistono restrizioni disposte ai parcheggi o alla viabilità.

Come era previsto, il questore di Trapani Salvatore La Rosa ha vietato il funerale pubblico per Matteo Messina Denaro, morto ieri notte all’ospedale de l’Aquila. Le esequie, dunque, si svolgeranno in forma privata nel camposanto di Castelvetrano appena la salma arriverà nel paese del trapanese. Dopo gli accertamenti autoptici, l’autorità giudiziaria disporrà la restituzione del corpo del capomafia alla famiglia. A L’Aquila da giorni c’è la nipote del capomafia, che è anche il suo difensore e il suo tutore legale, Lorenza Guttadauro. È stata l’avvocata a contattare l’impresa funebre incaricata del trasporto in Sicilia del feretro. La salma potrebbe partire già nel pomeriggio per raggiungere via terra l’Isola. Alle esequie, che si svolgeranno in un cimitero blindato e off limits al pubblico, non dovrebbe partecipare un sacerdote neppure per una benedizione. La Chiesa nega i funerali religiosi ai mafiosi e comunque il capomafia aveva espressamente lasciato scritto di non volerli.

Aggiornato il 26 settembre 2023 alle ore 15:41