Per gli indignati contro i tossici del femminicidio

Scrivo per gli indignati che protestano, perché non si sentono rappresentati. Basta andare sui social e leggere la valanga di commenti di italiani che insorgono di fronte alle interpretazioni di una parte politica rispetto alle vicende di cronaca nera sui femminicidi e i cosiddetti reati di genere. I tanti cittadini offesi non sono persone che mistificano e giustificano la violenza contro le donne o contro le categorie discriminate. Non sono “i maschilisti”, “i gender offender”, “gli omofobi”, “i razzisti” e tutte le altre etichette affibbiate a un popolo che, invece, dimostra una sopportazione rara. La maggioranza degli italiani prova sgomento, prima ancora che la rabbia aizzata dai circuiti mediatici e dei partiti. Prova un dolore atroce per la violenza diffusa, per la devianza dei giovani, per lo sballo quotidiano, per le morti senza sosta che siano femminicidi, incidenti, risse, omicidi, sballo, corruzione, immigrati fuori controllo, o i tanti che si ammalano impietosamente. Il profilo di questa Italia è di un Paese che sanguina lacrime con il cuore spezzato. Anche perché a questo inferno della cronaca si collega un malessere sociale e una crisi spirituale e materiale che ha invaso tutta la dimensione relazionale, sfociando addirittura in guerre che credevamo fosse impossibile rivivere, dopo i flagelli dei due conflitti mondiali. Non c’è ambito che non sia toccato: ceto sociale o categoria, non c’è rifugio. Siamo in Italia dentro lo sterminio della civiltà e dell’umanità.

Vengo al punto. Su Rai Tre – a Chi l’ha visto? – sono stati mandati in onda gli audio della povera ultima vittima, la giovane Giulia Cecchettin, che cerca di spiegare i suoi dilemmi amorosi con l’ex fidanzatino, l’atroce Filippo Turetta. La giovane ragazza spiega quello che tante donne hanno vissuto: i crucci del cuore e il desiderio di cambiare. Non tutte le donne, perché l’esecrata cultura dei nostri padri e delle nostre nonne era fondata sul primo amore che non si scorda mai e tante hanno conseguito dentro quell’incantamento sentimentale, come lo definiva il sociologo Francesco Alberoni, il matrimonio e la famiglia. Traguardi che, come ha spiegato in tivù l’avvocatessa Annamaria Bernardini De Pace, non era solo amore e carne, era anche il ruolo sociale che uomini e donne assumevano per formare una famiglia, punto fermo per la creazione dei cittadini di una nazione. I più giovani non lo sanno, perché si basano sul film record di Paola Cortellesi, C’è ancora domani, che trasforma la realtà. Portano intere scolaresche, i ragazzini e le ragazzine anche di terza media a educarsi e far impennare il botteghino. Ma invocando il diritto di critica sempre più scomparso, ripeto quello che molti critici pensano: il film è libera fantasia rispetto alle pellicole del neorealismo di Roberto Rossellini, di Vittorio De Sica, delle attrici e attori del tempo, che quelli sì che andrebbero ristudiati e riproposti nelle scuole. Sono le radici del talento italiano mel mondo, il primato del made in Italy, non l’onta che una accolita di ignoranti sessuofobici non percepisce. Nella corsa progressista a voler rifare il Ventennio, i registi e gli attori di sinistra storpiano la storia in una versione in bianco nero di Thelma & Louise per costruire la propria narrazione forzata.

Certo, nel 1975 è arrivato il divorzio, con esso il sorpasso del Partito comunista italiano, le femministe, immediatamente il Circeo e le responsabilità di una destra che, ieri come oggi, ha avuto ruolo e non difende nemmeno se stessa. Non a caso quella parte della Democrazia cristiana più insigne, che aveva combattuto il fascismo e il comunismo, disse che “prima sarebbe stato il divorzio, poi l’aborto, poi i matrimoni omosessuali e poi vostra moglie scapperà con la serva”. L’ultimo livello è duro e difficile da condividere, ma siamo a questo. Pier Paolo Pasolini la definì “la cancrena”. I politici e gli intellettuali delle due guerre e della Costituzione non reagivano così per doti divinatorie o perché cattolici bacchettoni e tutti gli epiteti con cui li calunniano. Conoscevano le teorie, i piani e la mentalità dei comunisti sovietici, il satanismo tossico che scorrazza oggi nella nostra società. Un indottrinamento pericoloso e mostruoso, che hanno contrastato con ogni mezzo. E se c’è una classe politica che ha dato alle donne l’emancipazione, il diritto di voto, allo studio, al lavoro questa è la vituperata classe identificata “col patriarcato dello stupro”. Ecco dove il Paese si ribella e non si sente rappresentato. Perché non c’è chi difende la storia, la Carta, la memoria, i valori, i principi e le idealità. Se una parte fa la sua battaglia, deve essere concesso a tutti di esprimere la propria opinione, senza essere vilipesi, intimiditi, tacciati, magari affossati di cartelle del fisco, di multe, di rogne e di impicci, e peggio calunniati, isolati e istigati al peggio. Noi, tantissimi italiani, vogliono combattere per le idee di fronte a questo sterminio di idiozie e teorie false.

Ma allora, si dirà, il divorzio, l’aborto (e qui mi fermo perché il resto è perfino indicibile) dovrebbero essere leggi abrogate? Non sono l’educazione da dare ai giovani. Il contrario di quello che vorrebbe fare chi è responsabile di questa mattanza. Bisogna dire la verità. Quando si divorzia, si abortisce e via dicendo non si vince nulla, non si diventa migliori, si devono affrontare iter dolorosi, difficilissimi per ragioni affettive, sentimentali, anche pratiche, materiali, economiche, che difficilmente riescono a ricostruire una vita serena. E poi ci sono i figli, il loro smarrimento per le famiglie separate, per mamme e papà divisi, come nello spot tanto vituperato della catena di supermercati della madre perfettina, del padre addomesticato, ma di una bambina che cerca con una pesca di garantire la continuità dell’amore di cui ha bisogno per crescere sana e sicura. Divorzio e aborto sono la porta aperta su un male gravissimo, da cui è quasi impossibile sfuggire. Ma, ovviamente, ci sono casi in cui non se ne può fare a meno. Se un figlio deve vivere nella violenza e nell’incapacità dei genitori di educarli e provvedere a loro in modo sicuro, occorre intervenire. E, come dicevano i politici di quei tempi, occorre tutelare e accompagnare le donne e le famiglie a una soluzione sicura. Non c’era questa valanga di morte ammazzate perfino giovanissime, perfino dal primo amore con modalità che nulla hanno a che vedere con una presunta malattia del maschilismo. Ma siamo diventati pazzi! Noi siamo la generazione dei “ragazzi che si amano” di Jacques Prévert e anche la sinistra non era questa gogna di vergogna, erano “porci con le ali” dei “piccoli grandi amori” di Claudio Baglioni. Ma cominciava la grande traversata dal cuore alla pelle, alle ammucchiate, i primi passi nel sessismo, nelle declinazioni delle omosessualità più libertine, dagli spinelli fino alla droga dello stupro e tutto quel repertorio che tanti di noi non conoscono e non ci tengono a documentarsi.

Cosa accade? Proprio quello che hanno mostrato e mostra quella “setta” di manipolatori che si intestano una veste di partito, di sinistra, progressista, ma appartengono a un terrorismo che dal sociale, dalle stragi, si è spostato nel privato delle famiglie. Un terrorismo sessuale tossico e satanico, che usa tutti i simboli e tutti le modalità dei deviati. Da questi vogliamo difenderci, abbiamo votato per scardinarli e non per issarli in cima alla Repubblica. Abbiamo votato centrodestra non per un défilé internazionale o per un nominificio, ma per i valori civili, morali, culturali degli italiani. Per rispondere a questa compagine pervertita come stanno facendo tanti singoli uomini e donne sui social. I femminicidi e la violenza che insanguinano la vita italiana non sono causa del passato da smantellare, anzi sarebbe da riproporre riveduto e corretto se ci fosse chi ne ha la qualità e la dignità. Il progresso non ha bisogno dei comunisti, è insito nel tempo e nella dinamica biologica. Ciò che accade di continuo nella cronaca nera accade perché si inserisce l’ideologia e l’ossessiva propaganda di genere, la demonizzazione del maschilismo, le accuse al patriarcato dello stupro. Il progressismo e la sinistra hanno imposto quelle che chiamano rivoluzioni ed emancipazioni, ma che di fatto sono la fine dei valori italiani, la fine delle famiglie tradizionali attraverso uno sterminio a cui non ci si può opporre, la droga libera, il sesso senza limiti e censure, la loro cultura, i loro film, la loro narrazione senza sosta di una società ben descritta da Pier Paolo Pasolini in Salò o le 120 Giornate di Sodoma. Ha scritto un anonimo parroco: “Se accade quello che accade non è perché bisogna uscire dalla società patriarcale, ma esattamente il contrario. Perché hanno ucciso il padre per uccidere Dio, e una società senza padre e senza etica vaga nella devastazione attuale”.

Esattamente. Hanno voluto elevare l’omosessualità a normalità, ad amore, a terza dimensione. Senza nessuno scrupolo neppure di fronte alle pandemie, che poi tanto rinchiudono in casa, mentre sdoganano tutto il repertorio Gay Pride, come hanno fatto e per cui l’ex ministro Roberto Speranza è indagato (tra i capi di imputazione anche omicidio colposo, la Procura avrebbe chiesto l’archiviazione). Perché abbiamo taciuto e perché tanti hanno rischiato anche uno sconosciuto vaccino? Perché la maggior parte conscia di quello che in passato hanno subito tanti omosessuali, le discriminazioni, la repressione, in America Latina li caricavano sugli aerei e li buttavano come sacchi, nella Germania nazista li internavano, in Spagna un famoso poeta non è mai stato ritrovato perché la polizia del regime non ha voluto che la madre conoscesse il privato del figlio. Si potrebbe fare un museo del dolore della lotta contro l’omosessualità. Questo, la maggioranza degli italiani, non lo vorrebbe più. Ciascuno viva il suo privato in coscienza, gli eterosessuali non sono meglio. Certo che esiste una sopraffazione e una violenza contro le donne, ma non con queste modalità va affrontata. Abbiamo mollato. E si è scatenato il putiferio. Perché, aizzati dalle lobby di interessi, oggi sono gli omosessuali che impongono una decomposizione dell’umano e una trasformazione della società aberrante. Matrimoni tra donne e maschi, maternità surrogate, tutto quello che può far male, fare scandalo, sconcertare i meno forti, i bambini, i giovani, gli anziani, i credenti.

Una avvocatessa Lgbtq, che ha raccolto le volontà della povera Michela Murgia sui suoi deliri queer, ha scritto alla premier Giorgia Meloni una lettera, che è una confessione in chiaro dei propri disturbi. Cosa dovrebbe fare la premier? Nessuno è più alto di un altro, nessuno può dire questa è l’educazione sentimentale, devi amare così o cosà. L’amore e il sentimento si formano con la storia e la letteratura dei secoli, per cui ancora abbiamo la migliore scuola e la migliore arte e civiltà mondiale. Proprio quella che la cancel culture vorrebbe distruggere. Nessuno può dire come devi essere. Lo stabilisce la natura. E la risposta non è né di una persona né di una chiesa né di una parte politica. È nel divino, nel senso che è più in alto di noi, nelle sfere del trascendente, nell’eterno in cui siamo immersi, tra i mari di stelle e di comete. La risposta possibile è in quella pagina di Paolo ai Romani dal titolo “Il peccato dei pagani”. Badate che Paolo non ha conosciuto Cristo e non è stato testimone del Messia, era un soldato romano convertito e le sue lettere sono quello che oggi potrebbero essere le riflessioni di uno che parla a un mondo in decomposizione. Leggetela tutta. Leggetela bene. Questa lettera andrebbe portata nelle scuole dove si bestemmia già dai dieci anni. Dice in un passaggio: “Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli”. Noi esistiamo. Noi vogliamo difendere la vita, l’umano, l’amore.

Aggiornato il 24 novembre 2023 alle ore 12:35